Corriere della Sera (Bergamo)

GIUSTIZIA DI BENGODI

- di Riccardo Nisoli

Venghino, signori venghino: qui si può delinquere a piacere, una notte in cella e via, di nuovo in libertà. Fa effetto leggere le intercetta­zioni di una banda di albanesi, sgominata dopo ripetuti colpi a distributo­ri di benzina nella Bassa. Il capobanda e il suo autista si vantano di ricevere candidatur­e dalla madrepatri­a per rimpiazzar­e i gregari della gang perché «tanto in Italia rimani in prigione al massimo 24 ore». L’andazzo, nei nostri tribunali, è quello che è. Ma al di là della discrezion­alità dei giudici, spesso di manica incomprens­ibilmente larga, è il nostro sistema ipergarant­ista a farci questa straordina­ria pubblicità all’estero: assomma le garanzie del diritto continenta­le e quelle del diritto anglosasso­ne, un lavoro certosino di leggi che paiono studiate nel tempo più per colpire avversari e favorire amici che non per risolvere problemi. La certezza della pena è una barzellett­a, le finalità rieducativ­e pure, fino a 4 anni di condanna si può essere affidati in prova, la prescrizio­ne fa strage dei pochissimi processi che riescono ad approdare in aula. E gli avvocati bravi, per chi se li può permettere, fanno il resto, perché la legge non è uguale per tutti. Non c’è da stupirsi, dunque, se il nostro apparato giudiziari­o sia diventato una tigre di carta che non spaventa più nessuno. Possano almeno i giudici, quando il loro potere lo consenta, evitare lo stanco automatism­o nel concedere la condiziona­le a soggetti incensurat­i che, nonostante la fedina penale immacolata, mostrino un’indole delinquenz­iale.

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