GIUSTIZIA DI BENGODI
Venghino, signori venghino: qui si può delinquere a piacere, una notte in cella e via, di nuovo in libertà. Fa effetto leggere le intercettazioni di una banda di albanesi, sgominata dopo ripetuti colpi a distributori di benzina nella Bassa. Il capobanda e il suo autista si vantano di ricevere candidature dalla madrepatria per rimpiazzare i gregari della gang perché «tanto in Italia rimani in prigione al massimo 24 ore». L’andazzo, nei nostri tribunali, è quello che è. Ma al di là della discrezionalità dei giudici, spesso di manica incomprensibilmente larga, è il nostro sistema ipergarantista a farci questa straordinaria pubblicità all’estero: assomma le garanzie del diritto continentale e quelle del diritto anglosassone, un lavoro certosino di leggi che paiono studiate nel tempo più per colpire avversari e favorire amici che non per risolvere problemi. La certezza della pena è una barzelletta, le finalità rieducative pure, fino a 4 anni di condanna si può essere affidati in prova, la prescrizione fa strage dei pochissimi processi che riescono ad approdare in aula. E gli avvocati bravi, per chi se li può permettere, fanno il resto, perché la legge non è uguale per tutti. Non c’è da stupirsi, dunque, se il nostro apparato giudiziario sia diventato una tigre di carta che non spaventa più nessuno. Possano almeno i giudici, quando il loro potere lo consenta, evitare lo stanco automatismo nel concedere la condizionale a soggetti incensurati che, nonostante la fedina penale immacolata, mostrino un’indole delinquenziale.