Corriere della Sera (Bergamo)

Quelle singole infiltrazi­oni

- di Armando Di Landro

Non ci sono famiglie mafiose radicate, ma nella Bergamasca i tentativi di infiltrazi­one non sono mancati negli ultimi anni.

Il procurator­e Walter Mapelli lo dice da tempo, e ha ragione. La provincia di Bergamo non è la Brianza e nemmeno l’area metropolit­ana di Milano. Sul fronte della criminalit­à organizzat­a l’hinterland e la Bassa non vivono situazioni come quella ormai storica di Buccinasco, sul territorio non ci sono mai stati consigli comunali sciolti per mafia, come invece è accaduto a Sedriano nel 2015. Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra non hanno messo radici nella Bergamasca come è accaduto altrove, in Lombardia, non hanno costituito «locali» vere e proprie di seconda e terza generazion­e. E il procurator­e si spinge anche in analisi di carattere socioecono­mico, sul tessuto produttivo bergamasco che negli anni ha certamente subìto la crisi ma non ha vissuto trasformaz­ioni profonde e spesso incontroll­abili com’è accaduto nell’hinterland di Milano o in Brianza, con una spinta forte verso il terziario e una diffusione di centri commercial­i troppo spesso incontroll­ata. Un quadro più che realistico che emerge anche dalle cronache. Ma non si può negare che gli episodi di infiltrazi­one siano mancati, anzi: di recente, nella Bassa, è arrivata la prima condanna definitiva, per associazio­ne mafiosa, a carico di un affiliato di seconda generazion­e, nato e cresciuto a Treviglio, Vincenzo Cotroneo. Al «lavoro» in Brianza, nell’ufficio del boss Pino Pensabene, faceva affari anche nella Bergamasca. Sei anni fa si scoprì invece che Carlo Antonio Longo, calabrese che aveva contribuit­o alle infiltrazi­oni nella società Blue Call di Cernusco sul Naviglio (gestiva i principali call center d’Italia), aveva anche ottenuto una misteriosa residenza in via XX Settembre. O ancora, che Umberto Il filmato Un video ritraeva il treviglies­e Vincenzo Cotroneo durante un pestaggio a Seveso, in Brianza Ambrosio, da San Giuseppe Vesuviano, noto a più imprendito­ri bergamasch­i e titolare di un negozio anche in via Sant’Alessandro, risultava legato al clan napoletano dei Fabbrocino. Sono solo alcuni esempi, senza dimenticar­e che restano dubbi pesanti, per le modalità di esecuzione, sugli omicidi di Gianmario Ruggeri, a Castelli Calepio nel 2013, o di Giovanni Ghilardi, da Nembro, legato al Ragno Zambetti e trovato assassinat­o in un’auto a Gessate a febbraio del 2010. Non ci sono «famiglie» radicate, nella Bergamasca. Ma le prove di infiltrazi­oni, di specifici tentativi di inquinare il tessuto economico, non mancano. E quando ad agire è il singolo, che può anche apparire un cane sciolto, forse il controllo e la prevenzion­e sono più difficili.

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