Ritratti di donne Dalla Marilyn black di Warhol a Rotella
Andy Warhol e gli iperealisti Mostra a cura della Fondazione Mazzoleni nel castello di Pagazzano
Era l’agosto del 1962 quando Andy Warhol decise di ritrarre il volto dell’intramontabile diva di Hollywood, Marilyn Monroe, scomparsa lo stesso mese. La tecnica era la stampa serigrafica fotografica, mentre lo scatto, già esistente, era stato preso dalla locandina del film «Niagara», girato nel 1953.
Quelle opere sono tra i pezzi più famosi dell’arte moderna e una selezione si potrà ammirare nella mostra «Ritratti di donna», allestita da venerdì prossimo nella Sala del torchio al castello di Pagazzano a cura della Fondazione Mazzoleni. Le serigrafie esposte saranno sette. Quattro appartengono alla serie «This is not by me»: sono le rare Marilyn gold e black and white, oltre alla fluo e all’orange.
«Warhol aveva commissionato il lavoro alla stamperia newyorchese Sunday B Morning fondata da amici, ma non gli erano piaciuti gli effetti cromatici tanto da rifiutarsi di collaborare ancora con loro — racconta Mario Mazzoleni, presidente della fondazione —. Sul retro, il genio della pop art dal fiuto per gli affari aveva scritto, in modo ironico, “questa non l’ho fatta io”, aggiungendo poi la sua firma».
Un’altra opera è composta da quattro ritratti, poi ci sono le cover realizzate per la galleria tedesca Binhold e per il collezionista Leo Castelli. L’attrice americana si ritroverà nei manifesti dei film strappati e sovrapposti su tela del calabrese Mimmo Rotella, soprannominato «il pittore della carta incollata » che, in realtà, inventò una nuova forma d’arte, il décollage.
La stanza che un tempo ospitava le scuderie sarà dedicata alle polaroid di Maurizio Galimberti, tra i più importanti fotografi italiani. Le foto immortalano i dettagli e sono composte a mosaico. Tra le figure femminili, si riconoscono Monica Bellucci, Lady Gaga ritratta alla Mostra del cinema di Venezia e Laura Chiatti. Adottato da piccolo, l’artista milanese ripropone con il suo stile, il personalissimo modo di guardare il mondo, dalle sbarre dell’orfanotrofio.
Il percorso espositivo consente di ammirare anche altre opere che ammiccano alla pop art, dai tratti somatici dei volti realizzati con formelle di ceramica dalla bolognese Simona Ragazzi e che spuntano da un tappeto di pelo fucsia ai primi piani colorati della bresciana Ornella De Rosa.
I viterbesi Fabio Perla e Aurelio Bruni, l’aretino Francesco Verdi e il foggiano Franco Cisternino colpiscono per il loro iperealismo. Particolari anche le tecniche: l’artista romano Paolo Medici è esperto di frottage, ovvero lo sfregamento della matita su un foglio di carta posto sopra una superficie non liscia. Rosy Mantovani, da Vigevano, usa la cenere.
Meravigliose le sculture di Rabarama, che vive a Padova, dove crea i corpi decorati con geroglifici, fasce, labirinti, simboli presi da filosofie orientali, cruciverba, puzzle e nidi d’ape che richiamano il dna, le cellule, le infinite combinazioni e varietà possibili insite nell’umanità. Ma a stupire è l’ingegnosità di Mario De Luca, da Frosinone. La materia base delle sue sculture è il rame, con un evidente riferimento alla rete delle comunicazioni.
Nelle sue opere coniuga la filosofia della sostenibilità e dell’innovazione attraverso il recupero dei materiali di scarto. I suoi ritratti femminili danno nuova forma a ferraglie, maniglie delle porte e pomelli dei cassetti.
Fotografie Nelle scuderie le polaroid di Maurizio Galimberti dalle sbarre dell’orfanotrofio