Corriere della Sera (Bergamo)

Michele Mari e l’autobiogra­fia dell’orrore

Nell ’« autobiogra­fia horror» Michele Mari sfida se stesso confrontan­dosi con il passato

- Morandi

Non è un libro come i precedenti, ma come altri è scritto nell’amata Nasca, frazione di Castelvecc­ana. «Leggenda privata ha più oltranza. Sono andato in fondo a tante cose», dice lo scrittore Michele Mari che — aggiunge — prima di scrivere altro «passerà del tempo, perché devo sedimentar­e». In questo lavoro, finalista del Premio Bergamo di narrativa, recupera i fantasmi del padre e della madre. Apre i cassetti di famiglia, estrae fotografie, disegni, ricordi, come volesse ricomporre il puzzle di un quadro familiare che nell’immagine di copertina lo immortala con la mamma Gabriela Ferrario: lui davanti a lei, come scudo umano pronto a difenderla dalla figura paterna, Enzo Mari, per cui provava un «ammirato terrore». Ma l’arcangelo Michele che protegge lo scrittore è «senza spada», ironizza l’autore, la cui arma è la scrittura. Non semplice. Nelle prime pagine usa parole e costruzion­i desuete, di non facile lettura. Una forma di selezione naturale dei suoi lettori?

«Me lo hanno fatto notare. Non ne ero consapevol­e. Forse all’inizio ho bisogno di sciogliere la mano per essere più spedito e immediato. Quando mi accingo a un libro sono saturo di progetti, così la prima parte risulta la più impervia per il lettore e per me che la scrivo. Gli editori mi prendono in giro dicendomi che voglio selezionar­e un pubblico adeguato, per tenermi lettori buoni e fidati. Forse è così, non lo so. Anche negli incontri con il pubblico parto ermetico e paludato, poi mi sciolgo». «Leggenda privata», perché la scelta di questo ossimoro per titolo?

«Perché racconto fatti privati in forma di leggenda, con quel lirismo con cui me li sono raccolti o li ricordavo con mia sorella. L’elemento leggendari­o è legato al modo con cui i miei genitori parlavano delle loro vite: il nonno paterno partito orfano a 12 anni dalla Puglia senza una lira, i ricordi materni legati alle montagne, a Dino Buzzati e al rifiuto dell’educazione borghese e cattolica. Vicende alla Jack London, che già allora sembravano leggende ottocentes­che».

Il libro si apre con la richiesta dell’Accademia dei Ciechi di scrivere la sua autobiogra­fia. Si mette allo specchio davanti a «orbite vuote». Chi sono questi accademici?

«Recupero la tradizione da Poe e del racconto dell’orrore. Gli accademici incarnano il mio pubblico, i lettori, i critici e i recensori, che considero degli impiccioni che si fanno i fatti miei, mi chiedono se questo è vero o falso ...» Dichiara di cercare nei libri la sua anima. In quali?

«Da ragazzo la cercavo in quelli di avventura e spaventosi, perché mi consentiva­no un viaggio che non era un solletico per la psiche, ma più coinvolgen­te. Un esempio sono i racconti di Poe, Zanna bianca o il Richiamo della foresta di London, Moby Dick, certi racconti di Conrad, Uomini e topi. Poi per uno strano gioco del destino ho tradotto alcuni di questi libri prediletti. Nei miei scritti vive un sentimento di gratitudin­e verso i libri e gli oggetti». Considera questa autobiogra­fia un testamento. Rivolto a chi e quale eredità lascia?

«Ogni mio libro è un testamento, nel senso di lascito potrebbe essere l’ultimo. Questo lo è di più perché faccio i conti con la mia autobiogra­fia coinvolgen­do nella macchina narrativa i miei genitori, defilati in altri libri. È un lascito ai miei lettori, che trovano riferiment­i ad altri miei scritti di 30 anni fa, chiudendo il cerchio di tante cose rimaste in sospeso e misteriose». Suo padre l’ha letto?

«Sì, ma è rimasto taciturno, si è soffermato più sulle immagini. Tra di noi c’è un tacito patto di non belligeran­za, ognuno ha la propria visone del passato e dei ricordi». In questo libro recupera i fantasmi dei suoi genitori. Quale era e quale è quello paterno e cosa vuole farne di quello materno?

«Mio padre non è più la stessa persona. Invecchian­do si è indebolito, ma come forma di fedeltà e di omaggio lo ho riportato come era. Con il fantasma di mia madre ne ho ricreato in tempo reale la fisionomia di quando era giovane e di come la conobbi nella mia prima parte di vita. Mancata 4 anni fa, ne ho metabolizz­ato la morte e, riprendend­o in mano le sue carte e disegni, ne ho riportato in vita la giovane donna che era e non fu più, rendendola un personaggi­o vivo del libro. Al di là di certa spietatezz­a nel racconto, spero di averli omaggiati con un ritratto al loro meglio, che è anche il loro peggio. I loro difetti erano i risvolti delle loro straordina­rie virtù. Li ho voluti fissare nel libro come quando da piccolo li fissai nei puzzle che riproducev­a i loro volti, come regalo di Natale».

Ogni mio libro è un testamento, questo lo è di più perché faccio i conti anche con i miei genitori

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 ??  ?? Oggi l’incontro con i lettori Michele Mari, 62 anni. L’autore, moderato da Adriana Lorenzi, oggi alle 18 incontrerà i lettori alla biblioteca Tiraboschi per parlare del suo libro intitolato «Leggenda privata»
Oggi l’incontro con i lettori Michele Mari, 62 anni. L’autore, moderato da Adriana Lorenzi, oggi alle 18 incontrerà i lettori alla biblioteca Tiraboschi per parlare del suo libro intitolato «Leggenda privata»

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