«Minacce gravi Il caso del Bocia non va archiviato»
Il pm ha chiesto l’archiviazione per il capo ultrà Claudio Galimberti, ma l’allora capo della Digos si è opposto. L’episodio riguarda le minacce in questura, per il daspo. Il legale: «Fatti gravi». Ha allegato un filmato.
Cinque settembre 2015, Claudio «Bocia» Galimberti si presentò in questura con tifosi al seguito. Era furioso, perché doveva firmare il daspo di cinque anni preso per la testa di porchetta portata al Comunale, ad aprile, e minacciò l’allora capo della Digos Giovanni Di Biase. Se secondo il pm Giancarlo Mancusi sono episodi da archiviare per tenuità, anche alla luce del personaggio Bocia «coreografico» e «Braveheart di provincia», per l’avvocato Michelle Vavassori sono «minacce di oggettiva gravità». Per conto di Di Biase, si è opposta all’archiviazione allegando un filmato per il giudice Ciro Iacomino, che deciderà il 18 giugno. Un poliziotto riprese la scena con il telefonino nel vialetto della questura dove Galimberti incontrò Di Biase. Nella registrazione si sentono anche le frasi, riportate nell’opposizione all’archiviazione. Come «io vado in carcere, ma ti faccio una testa così». E «avrei voglia di darti una testata, ti voglio da solo». Ma più delle altre una, è sempre l’opposizione, era mirata a «coartare» il capo della Digos perché revocasse il daspo ritenuto ingiusto da Galimberti. «Qui non succede niente se vuoi», disse il capo ultrà girandosi verso i tifosi fuori dalla questura. Un gesto che nell’ottica del legale aggrava la portata delle minacce. Secondo il pm, invece, proprio il contesto la alleggerisce: Galimberti vive per il calcio, inoltre è vero che ha una condanna in appello a 2 anni e 11 mesi per la maxi inchiesta sul tifo violento ma non è definitiva. Dalla sua parte ha l’assoluzione dall’associazione per delinquere relativa agli stessi fatti per cui è stato condannato e la revoca della sorveglianza speciale dopo 10 mesi in cui «si è redento».