Rivive la Passiù in dialetto antico a rima baciata
Mentre dalla Sicilia alla Sardegna, da Siviglia al Perù ci si appresta a celebrare le antiche tradizioni della settimana santa, in Lombardia la memoria di due Passiù dialettali di area bergamasca e bresciana è rimasta viva solo fra gli studiosi. A sottrarla a questa vita di biblioteca ha provveduto il generoso lavoro di Maurizio Tabani, che ieri sera ha messo in scena la Passione bergamasca nella chiesa affollata di Sant’Andrea apostolo, in Città Alta, alla presenza, in prima fila, del vescovo Francesco Beschi.
Questa lauda in antico dialetto, come ha autorevolmente provato Piera Tomasoni dell’università di Pavia, risale al Trecento e segue una tradizione diffusa nell’Italia medioevale negli ambienti delle confraternite laiche dei Disciplini. Si tratta di un documento che presenta molte ragioni di interesse. Costituisce infatti un’eccezione nella precoce codificazione del bergamasco come lingua comica dello zanni. E mi pare significativo dell’ethos religioso delle genti bergamasche il fatto che la ricerca del registro tragico non conduca come altrove alla codificazione dell’amor cortese, ma alla pietas popolare.
I Disciplini introdussero al nord l’esperienza delle laudi diffuse in Umbria e in Toscana. Anonime, dovevano essere cantate in chiesa la notte del giovedì o del venerdì santo e per favorire la comprensione dei credenti erano scritte nei ruvidi dialetti della zona.
Straordinari documenti della religiosità popolare, sapevano muovere l’emozione della gente facendo risuonare il dolore di Cristo nelle pene degli umili.
La Passio bresciana, che segna la nascita della letteratura
Chiesa di S. Andrea Circa 130 persone hanno assistito alla recita, in prima fila il vescovo Beschi
municipale ed ebbe l’onore di un commento di Gianfranco Contini, è più asciutta e trattenuta di quella bergamasca. «Quant Juda Christ si af basat, / per i Zuthé tost fo pïath, / e sì ’l ligà sì fortament / che Christ stava in gran troment» («Quando Giuda diede un bacio a Cristo, / per i Giudei subito venne preso, / e lo legano così stretto / che Cristo stava in gran tormento»).
Al contrario la passione bergamasca è più patetica ed insiste sul dolore di Maria, con modi che richiamano Donna de Paradiso di Jacopone da Todi. «Santa Maria pris a dì / “O fiol me tu m’fe morì / quand e’ te guardi, fiol me bel, / ol cor me passa d’un cortel”» («Santa Maria iniziò a dire / “O figlio mio tu mi fai morire / quando ti guardo, figlio mio bello, / il cuore mi trapassa con un coltello”»).
Tre sono le versioni tramandate della lauda. La più antica,si trova alla Laurenziana di Firenze; una seconda versione è conservata all’Ambrosiana di Milano; la terza è proprietà della Civica Biblioteca «Angelo Maj» di Bergamo, ed è denominata Frammento Borsetti, dal nome dell’ottocentesco possessore del testo, il cancelliere dell’Archivio Notarile Stefano Borsetti.
Il manoscritto del XV secolo venne donato alla biblioteca di Città Alta dal Tiraboschi, che giustamente lo riteneva copia di un documento più antico, appunto quello laurenziano.
La trascrizione del testo si deve a Lugi Chiodi, che lo pubblicò su «Bergomum» nel 1957, ed è su questa che ha lavorato Tabani per il suo moderno recupero.
Sette secoli dopo il tema della Passione è stato ripreso dal maggior poeta bresciano contemporaneo, Achille Platto, che scrive nel dialetto di confine che si parla sulle rive dell’Oglio.
Il narratore è in questo caso il Cireneo, un energico popolano che si offre di reggere la croce del Cristo ormai esausto. «Cristo ga l’ie vizì sudat e bianc / la schena l’era töta sacagnàda / e la facia ’na maschera de sanc / che ’l cüntügnàa a gossà ’nsima la strada […] Che capüciù de n’om chè ta se’ stat / sèmper a baià mal dè ste dutur / a daga adòs a chèi che ghìa rubat […] Lü ’l ma vardàa ’n dei öcc sensa parlà».