Vitali, 18 mesi per due morti Via la patente
I genitori delle vittime: imputato mai in aula, non ci ha rispettato
I genitori di Giuseppe Algeri e Francesca Squeo (foto), morti investiti da Cristian Vitali, hanno pianto, al verdetto: 18 mesi di reclusione, via la patente per 4 anni.
Dopo l’ennesima e ultima udienza ad alta carica emotiva, con i famigliari delle vittime tutti presenti in aula, seduti vicini, come se dovessero farsi forza uno con l’altro, è arrivata la sentenza di condanna per Cristian Vitali, 41 anni, noto imprenditore di Cisano Bergamasco: 1 anno e 6 mesi di reclusione con pena sospesa, per omicidio colposo plurimo, e ritiro della patente per 4 anni come pena accessoria, da trasmettere subito alla prefettura per l’esecutività. Questo il primo verdetto del tribunale, con il giudice Massimiliano Magliacani, sulla tragedia del 20 agosto 2015 in A4, sulla quarta corsia in direzione di Milano. Giuseppe Algeri, allora 27 anni, e la fidanzata Francesca Squeo, 23, rispettivamente di Cassano e Pessano con Bornago, erano morti tra Dalmine e Capriate investiti dalla Mercedes di Vitali, dopo essere rimasti bloccati dietro un camioncino che proteggeva e segnalava un cantiere della Sias Spa per il rifacimento delle strisce sulla carreggiata.
Il pm Carmen Pugliese aveva chiesto, al termine della sua requisitoria, 5 anni di reclusione, senza attenuanti generiche. E sulla sua richiesta, quindi già prima della sentenza, Vincenzo Squeo, padre di Francesca, aveva iniziato a piangere. Dopo il verdetto ha commentato, insieme alla moglie Maria Russo: «Non troviamo giusto questo risultato, l’imputato non si è mai fatto vedere né sentire per un gesto nei nostri confronti. Ma comunque, abbiamo capito un po’ la legge, eravamo preparati. È stato solo un lungo processo al cantiere, non all’imputato: ci ha fatto male non vedere mai Vitali in aula. L’unica certezza che abbiamo è che i ragazzi, da 31 mesi, sono sotto terra: erano giovani, stavano progettando la loro vita insieme». «Si sono attaccati a una bandierina — ha aggiunto Angela Agostinelli, mamma di Giuseppe, riferendosi alle presunte mancate segnalazioni del cantiere autostradale, sollevate con decisione dalla difesa —. In casa c’è silenzio, a volte il cuore sembra che debba scoppiare. Mio figlio aveva appena preso casa e non ha nemmeno fatto in tempo a fare il rogito. Non c’è più niente...».
Un dolore che il pm, in aula, ha tentato di far suo: «Anche per rispetto dei congiunti delle vittime non voglio fare un melodramma, ma avrei vo- luto sentire da Vitali spiegazioni alternative, e posso capire lo sfogo della mamma di Francesca che c’è stato in aula in una precedente udienza, perché qui si è assistito solo al tentativo di spostare l’attenzione sul cantiere stradale. Eppure, quel cantiere, è stato un falso problema, e anche nella perizia richiesta dal giudice si è rasentato il ridicolo, dove si afferma che “il cartello segnalatore era azzurro come il cielo di quel giorno”. Cosa dobbiamo fare? I cartelli in base alle condizioni meteo?». Una carica emotiva, quella del pm, a cui si è contrapposta un’arringa puntuale, su ogni aspetto tecnico, dell’avvocato Filippo Dinacci: «Quel cantiere era un disastro, un terremoto, senza una sola regola rispettata, non considerare questo significa non voler prevenire e ammettere che in futuro possano esisterne altri. La stessa Ford delle due vittime non era riuscita a rientrare dalla quarta alla terza corsia forse proprio perché solo all’ultimo il conducente aveva notato i lavori. Se vanno ricercate delle colpe allora bisogna fare riferimento al responsabile delle mancate segnalazioni del cantiere». L’avvocato ha poi evitato qualsiasi replica alle affermazioni dei familiari, piene di dolore: «È il codice a consentire l’assenza di ogni imputato e c’è in questo caso anche un certificato medico che può spiegare la circostanza. Le vittime sono state risarcite. Rispettiamo la sentenza ma non la condividiamo».
Sentenza da rispettare, ma faremo appello. L’assenza dell’imputato, che ha risarcito, è ammessa dal codice e in questo caso era anche giustificata da un certificato medico Avv. Filippo Dinacci Difesa
La pena Un anno e sei mesi di reclusione, il pm Pugliese ne aveva chiesti 5