Una comunità planetaria
Il pensiero di Ceruti sulle sfide del mondo globalizzato Dai cambiamenti inimmaginabili al grande terrore atomico
Dopo le tappe a Rovereto e Trento, aprirà il ciclo di incontri «Forme del tempo», il 5 aprile, nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Parliamo del nuovo libro di Mauro Ceruti «Il tempo della complessità» edito da Raffaello Cortina (190 pp., 14 euro). Un denso saggio aperto da un’appassionata prefazione di Edgar Morin - 97 anni l’8 luglio, tra più grandi intellettuali contemporanei - che qui definisce Ceruti «uno dei rari pensatori del nostro tempo ad aver compreso e raccolto la sfida che ci pone la complessità dei nostri esseri e del nostro mondo» rendendone omaggio allo «spirito potente, creativo e fraterno». Ancora una volta, per l’ex allievo di Ludovico Geymonat, poi senatore del Pd, ex preside della facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Milano-Bicocca e della facoltà di Lettere e filosofia a Bergamo, oggi ordinario di Filosofia della Scienza all’ Università Iulm di Milano, si tratta di offrire riflessioni, spunti, rimandi, strumenti, per pensare «la nuova condizione umana». Tutto nell’orizzonte di una riconciliazione fra tecnoscienze e saggezza, nel segno del recupero di una necessaria alleanza tra uomo e ambiente, ma valorizzando pure la «filosofia della complessità» nel delineare una prospettiva antropologica dalla quale l’identità umana si staglia come identità evolutiva e multipla.
Mostrandoci, sintetizza Morin, «come il nostro tempo renda ineludibile pensare insieme, e non in opposizione, identità e diversità»; motivando «l’urgenza di una riforma dell’educazione capace di valorizzare le diversità individuali e culturali, volta nel contempo a integrare la frammentazione dei saperi». Se tra le idee di fondo sono due a distinguersi in modo particolare — il fatto che «l’umanità è costitutivamente incompiuta, anche come specie» e che ogni cultura ha radici plurali ed eterogenee, l’imperativo inderogabile è uno prima di altri: elaborare la coscienza di una «comunità di destino». Ceruti lo spiega mostrando che la comprensione del nostro tempo è sì un problema che contiene in sé altri problemi che ne contengono ancora altri, ma pure evidenradigmi ziando che è ormai la mondializzazione il traino di un’avventura umana planetariamente interdipendente che attende un umanesimo altrettanto planetario. Ogni capitolo del libro è aperto da una citazione fulminante — Orazione sulla dignità dell’uomo di Pico della Mirandola; La Filosofia nella crisi dell’umanità europea di Husserl; Una anatomia del mondo di John Donne; Apologia di Socrate di Platone; Idea per una storia universale in prospettiva cosmopolitica di Kant — cui segue un commento di Ceruti, mentre i temi vengono poi approfonditi in un dialogo con Walter Mariotti.
Così dall’ambivalenza della modernità dell’Europa ai pa- di ogni confine, dal gioco delle verità ai conflitti fra i valori, dalla scomparsa della coesione alle conseguenze della globalizzazione, alla ridefinizione di concetti come utilità, successo, merito, previsione, controllo, ecc., sino all’universale condizione cosmopolitica segnata da cambiamenti (dove il vero problema dovrebbe essere il cambiamento del cambiamento), Ceruti aiuta a rispondere a diversi interrogativi. Perché non riconosciamo più il mondo in cui viviamo. Perché ci appare lo stesso, ma anche diverso. Perché in esso accadono cose in grado di ribaltare destini e realtà in tempi e modi una volta inimmaginabili. Impone una sosta di riflessione, nell’ultimo capitolo, la sottolineatura su uno dei passaggi cruciali dell’enciclica di Giovanni XXIII «Pacem in terris», in relazione alle funeste conseguenze di un eventuale conflitto atomico. «Da questa possibilità di autosopprimersi è nata una comunità di destino planetaria. Abbiamo scoperto di vivere in un’ecumene completamente umanizzata, al cui interno ogni evento locale può comportare, almeno in linea di principio, conseguenze che possono amplificarsi su scala globale», afferma Ceruti. Aggiungendo: «È in questo senso che la condizione umana è trasformata da un imprevisto e simultaneo aumento di potenza e di interdipendenza. Dopo Hiroshima, l’arma nucleare è diventata una sorta di spada di Damocle, sospesa sulle teste di tutti gli umani».
La condizione umana è trasformata da un imprevisto e simultaneo aumento di potenza e di interdipendenza. Dopo Hiroshima, l’arma nucleare è diventata una sorta di spada di Damocle sulle teste di tutti
Mauro Ceruti La risposta Un imperativo: la creazione di un umanesimo per tutto il mondo