Corriere della Sera (Bergamo)

Casa e lavoro, le vittime «Si sentivano al sicuro»

Gatti, la sorella: si sentiva al sicuro in azienda

- Tosca

Erano entrambi contenti del loro lavoro Gian Battista Gatti e Giuseppe Legnani, di Treviglio e Casirate, morti nell’esplosione alla Ecb di via Calvenzano. Gatti era responsabi­le della sicurezza. «Battista diceva sempre che la sua era un’azienda sicura, che tutto era a norma», ha raccontato la sorella. E infatti, era andato in ditta lasciando il figlio di 10 anni in auto.

Una vita divisa tra il lavoro e la famiglia quella di Gian Battista Gatti, 51 anni, uno dei due operai che la mattina di Pasqua ha perso la vita nell’esplosione avvenuta alla Ecb. Ieri a Treviglio nella sua abitazione in via Brignano è un via vai di persone. Conoscenti e amici passano per esprimere il loro cordoglio ai famigliari. La moglie Federica, la figlia maggiore Milena di 21 anni e Cristina, la sorella di Gian Battista, accolgono tutti nel cortile. Poco più in là gioca l’altro figlio, di soli 10 anni, mentre la nonna Aldina scambia qualche parola con gli altri parenti.

«Gian Battista era fin troppo dedito al lavoro — racconta la moglie Federica — aveva anche comperato una motociclet­ta ma non trovava il tempo per usarla». «Era più al lavoro che a casa

Il dolore Il piccolo è rimasto in auto. La moglie: «Aveva comprato una moto, ma non trovava il tempo di usarla»

— aggiunge la sorella Cristina — appena lo chiamavano correva. Non aveva il tempo per altre passioni. L’unica per cui trovava sempre un momento è nostra madre, passava sempre a salutarla. Per lei era sempre disponibil­e. Mio fratello era un uomo buono era più grande di me e dell’altro mio fratello Giuseppe. Abbiamo perso nostro padre che eravamo piccoli e lui si era un po’ sostituito».

Il 2018 sarebbe stato il ventiduesi­mo anno di Gian Battista Gatti alla Ecb, azienda a cui era arrivato dopo aver lasciato il posto al caseificio Mauri di Treviglio. Un lavoro quello nella ditta di mangimi per animali, cui il 51enne teneva tantissimo e in cui aveva fatto carriera diventando caporepart­o. Questo comportava la reperibili­tà ma a lui non pesava. «Capitava ogni tanto che lo chiamasser­o — dice ancora la moglie — lui andava, sistemava quel che c’era da sistemare e tornava a casa. Era sempre tranquillo, difficilme­nte capitava qualcosa di preoccupan­te».

È quello che è successo anche domenica. Già alle 7 Gian Battista era già passato con il collega Giuseppe Legnani a effettuare dei controlli di routine, poi avevano fatto colazione al bar ed erano tornati a casa, per la Pasqua in famiglia. Anche tre ore dopo Gatti era sereno: lo avevano chiamato mentre era in giro con il figlio e se lo era portato dietro. Il bambino è rimasto in auto fuori dallo stabilimen­to, quando c’è stata la tragedia che è costata la vita al padre e al collega. È stato un terzo operaio che c’era nello stabilimen­to a notare il bambino dopo la deflagrazi­one. «Battista diceva sempre che la sua era una ditta sicura — spiega ancora la sorella — che tutto era a norma. Anche il cambio di proprietà non aveva comportato cambiament­i».

Invece qualcosa non ha funzionato. «Speriamo — conclude la moglie — che l’autopsia sia fatta alla svelta per poter celebrare le esequie».

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