Corriere della Sera (Bergamo)

Il mondo (e 48 Paesi) in una scuola

Viaggio negli istituti più multicultu­rali della città: «È una ricchezza per tutti»

- Di Gisella Laterza

In città le scuole primarie sono sempre più multicultu­rali. Alla Calvi di Borgo San Leonardo ci sono 90 alunni di origine straniera su 110 iscritti. E alla Valli di via Rovelli più di uno studente su due non è italiano. Nelle scuole pubbliche di Bergamo e provincia, 10.387 bambini su 52.209 sono di origine straniera, il 19,9%. «Abituarsi ad avere il mondo in classe — dice la maestra Linda Orisio — è una ricchezza».

Le scuole primarie in città sono sempre più multicultu­rali. Alla Calvi di Borgo San Leonardo gli alunni di origine straniera sono 90 su un totale di 110 iscritti. Si tratta soprattutt­o di bambini nati in Italia da genitori che provengono da 48 Paesi diversi, in particolar­e Bolivia, Bangladesh, Cina, Romania e Albania. La Calvi fa parte dell’Istituto Mazzi, che raggruppa quattro scuole: quella di Orio, dove gli stranieri sono il 25%, quelle cittadine Don Bosco (di via Furietti) e Biffi (di San Tomaso de’ Calvi), dove la percentual­e sale al 50% e la Calvi, con l’82% di stranieri. La percentual­e è alta anche all’Istituto De Amicis, che comprende tre primarie. Alla De Amicis di Celadina la percentual­e di stranieri è del 44%, alla Valli di via Rovelli il 64% dei bimbi è figlio di stranieri e il 6% di coppie miste. I dati, forniti dalle scuole, sono aggiornati a marzo 2018.

«Nel 2002, nei nostri plessi, gli alunni di provenienz­a straniera erano il 16% — dice il preside dell’Istituto comprensiv­o Mazzi, Andrea Pioselli —. Oggi siamo a poco più del 50%. Le ragioni sono diverse. La curva demografic­a degli italiani è in calo, mentre gli immigrati tendono ad avere più figli. Alcuni quartieri poi hanno una concentraz­ione straniera più alta per ragioni economiche e urbanistic­he. Molti stranieri vivono in centro dove mancano i parcheggi e le case sono vecchie. Accanto a loro vivono cittadini benestanti, che abitano in dimore storiche di famiglia. Ma i più ricchi tendono a mandare i figli nelle scuole private».

Come mostrano i dati dell’Ufficio scolastico, nella scuola pubblica, a Bergamo e in provincia, 10.387 bambini su 52.209 sono di origine straniera, il 19,9%. La percentual­e nelle private scende all’1,9%, 99 alunni su 5.099. Gli stranieri sono soprattutt­o di seconda generazion­e, nati a Bergamo, mentre quelli nati all’estero sono una minoranza. Secondo i dati della Scuola Polo per l’Integrazio­ne, i Nai (Neo arrivati in Italia) a gennaio 2017 erano 75, ripartiti nei 12 istituti comprensiv­i dell’Ambito 1 di Bergamo.

«Per le maestre, i bambini sono bambini — dice Linda Orisio, maestra al Calvi da 18 anni —. Abituarsi alla differenza, ad avere il mondo in classe, è una ricchezza». Le difficoltà linguistic­he iniziali dei bimbi appena arrivati in Italia vengono superate grazie ai «facilitato­ri», insegnanti specifici che affiancano il bambino. «Inoltre, usiamo mediatori culturali per parlare con i genitori al momento della consegna delle pagelle — spiega la collega Rosaria Crinò — per essere sicuri di capirsi». All’Istituto De Amicis, «ci sono corsi gratuiti di italiano per le mamme — dice Vilma Mazzoleni, insegnante per l’intercultu­ra —, che di solito sono casalinghe e fanno più fatica con la lingua rispetto agli uomini che lavorano». In classe sono molte le iniziative per l’integrazio­ne, come «fare paragoni tra le lingue — continua Mazzoleni —. “Cioccolato” e “tè” si dicono in modo simile in tante parti del mondo. Alcune fiabe, come Cenerentol­a, sono diffuse ovunque e quest’anno abbiamo confrontat­o le varianti». All’inizio dell’anno, al Valli si fa una merenda multicultu­rale. «Ognuno porta qualcosa di tipico — dice la maestra Donatella Carminati —. Per tutti è una festa». E il preside dell’Istituto De Amicis, Claudio Ghilardi, aggiunge: «L’adulto ha bisogno di schemi, mentre un bambino vede l’altro per ciò che è. Loro sono gli adulti di domani e la speranza è che coltivino quest’abitudine alla diversità».

Verso l’integrazio­ne Dalle pietanze etniche ai mediatori: così in classe si prova a superare le diversità

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