I bolidi e l’Iva evasa Condanne per 10 anni
Sette anni a un commerciante, tre a un proprietario Il meccanismo: falsi F24 presentati alla Motorizzazione
Condannati a Bergamo per aver evitato il pagamento dell’Iva sull’acquisto di auto di lusso all’estero e poi immatricolate in Italia: sette anni a un commerciante e tre a un proprietario. Il meccanismo si basava sulla presentazione alla Motorizzazione civile di un finto modulo di pagamento F24. Il caso, che inizialmente aveva coinvolto 99 persone, si è poi disperso in più Procure.
Nei suoi numeri iniziali l’inchiesta appariva mastodontica: 99 indagati e poi imputati, 182 capi d’imputazione, tra associazione a delinquere, falso, truffa aggravata ai danni dello Stato, e 57 auto di lusso, Porsche, Bmw e Mercedes, acquistate da escursionisti esteri ma poi nazionalizzate senza versare l’Iva. Sei anni dopo la chiusura indagini, con un fascicolo curato dalla Guardia di Finanza ma passato di mano in mano tra più pubblici ministeri e poi definito dal sostituto Gianluigi Dettori, al ruolo del tribunale sono rimasti solo due nomi: quello di Raffaele Galiero, ex commerciante d’auto attivo a Bergamo, e Lolia Braidich, tra i soggetti che avevano utilizzato una delle auto nazionalizzate. Gli altri nomi, non pochi della grande famiglia rom Hudorovic, erano già usciti di scena tra patteggiamenti, riti abbreviati, prescrizioni e trasferimenti delle singole posizioni ad altre procure, in particolare Milano e Novara.
Sui due imputati rimasti a Bergamo, però, il collegio di giudici presieduto da Antonella Bertoja, ha riconosciuto ieri le responsabilità contestate, condannando Galiero a 7 anni e 6 mesi di reclusione (dopo una richiesta di 8 anni del pubblico ministero) e Braidich a tre anni, 3 mesi e 18 giorni. Il meccanismo, secondo l’accusa, era chiaro: tra il 2006 e il 2012, 57 auto di lusso, anche Porsche Cayenne, e poi altri suv o station wagon Bmw e Mercedes, erano state acquistate tra la Bergamasca, il Milanese e altre province, da escursionisti esteri. Persone, spesso con domicilio in Italia ma con residenza in altri Paesi, che acquistavano dalle concessionarie pagando regolarmente e senza versare l’Iva, come prevede la normativa, ottenendo la messa in strada dell’automobile con la targa «EE», per un periodo massimo di un anno.
La legge prevede però, in generale, che su quelle autovetture si debba pagare l’Iva nel momento in cui il proprietario o un acquirente decidano di nazionalizzarla, e cioè di avere una targa italiana. Il meccanismo messo a fuoco dall’inchiesta prevedeva che l’escursionista vendesse a un residente in Italia tramite un atto curato da una società, con tanto di passaggio di proprietà: in più casi la società in questione era la Comai di Galiero, che in effetti avrebbe firmato almeno una ventina di atti di vendita.
Il nazionalizzante, e cioè il nuovo proprietario dell’auto, Braidich ad esempio, doveva poi procedere a pagare l’Iva, depositando al Pra (pubblico registro automobili) e alla Motorizzazione civile per la nuova immatricolazione, un
I numeri Nelle indagini coinvolte fino a 99 persone, ma il caso si è poi disperso in più Procure
certificato che attestasse il versamento. Ma, secondo l’accusa, negli uffici pubblici arrivava in realtà, senza che vi fosse però un controllo adeguato, un finto modulo di pagamento F24. Un andazzo durato per sei anni che, secondo la Procura, aveva consentito di aggirare l’imposta con una vera e propria truffa: un reato con cui, secondo la difesa di Galiero, il commerciante non c’entrava molto. Anzi, non sarebbe ancora chiaro perché i nazionalizzanti portassero al Pra anche i certificati rilasciati dalla sua società. Mentre, secondo l’accusa, quella compravendita era comunque determinante per l’intero meccanismo.