TUTTI DIVISI CHE FESTA
Èvero che a Bergamo il 25 aprile è «troppo politicizzato», come lamenta il Centrodestra, assente alle celebrazioni? La verità è che da Milano a Roma i cortei del giorno della Liberazione sono, ieri e da sempre, l’occasione per rimarcare, prima dell’unità, le differenze. Perché? Il poeta Umberto Saba scrive che gli italiani sono l’unico popolo d’Europa ad avere un carattere fratricida. C’è chi, come i francesi, fa la rivoluzione uccidendo (metaforicamente o meno) il padre, noi italiani — a partire da Romolo e Remo — ci scanniamo tra fratelli. Lo testimonia la nostra storia, fino a questo presente dilaniato dai conflitti di tutti contro tutti, di cui l’attuale crisi politica è la perfetta fotografia. Dovremmo dunque ammettere, amaramente, che il 25 aprile è l’unica festa civile «vera» e viva proprio perché rende esplicita una divisione. Proprio perché, dopo più di 70 anni, porta in piazza moltissima gente che vuole rimarcare di essere diversa da un altro pezzo di Paese. È comprensibile che le istituzioni dicano che questa dovrebbe essere una festa «di tutti». Ma è anche onesto riconoscere che le fratture del fascismo non si sono ricomposte e che almeno il 25 aprile ci si deve rendere conto della prospettiva storica in cui si situano. E che è ancora necessario stare di qui o di là, soprattutto per quelli che sul fascismo minimizzano o dicono che si tratta di «storie d’altri tempi». In questo senso il 25 aprile non è «politicizzato», è strettamente politico. E se ci sei o non ci sei, fa tutta la differenza del mondo.