Musa come Morfeo Bomber senza pressioni
Barrow come Morfeo e pochi altri: gol e nessun contraccolpo dal vivaio alla prima squadra Il cambio di filosofia atalantina
Un impatto del genere, nella recente storia atalantina, l’aveva avuto solamente Mimmo Morfeo. Uno che, a detta di tutti, da Vavassori che l’aveva allenato a Favini che lo aveva supervisionato nel settore giovanile, è nella top tre dei talenti più cristallini passati da Zingonia. Morfeo alla sua prima stagione tra i grandi, a 18 anni, aveva segnato, in Serie A, 3 gol in 9 partite.
Zero pressioni
Musa Barrow è alla stessa quota, con una gara in più. Il 19enne non soffre di vertigini. Né sembra particolarmente disturbato (o esaltato) dal battage che la stampa ha messo in piedi nei suoi confronti. Perché l’attaccante gambiano continua a fare, senza intoppi, il suo lavoro: segnare. Tre volte in rete nelle ultime quattro gare. Confezionando pure assist. In casa o fuori. Come a Roma contro la Lazio: nemmeno il tempo di capire la disposizione in campo che il centravanti nerazzurro l’aveva già messa alle spalle di Strakosha, contro una Lazio che era, ed è, insieme all’Atalanta, la squadra più in forma del campionato in questo momento.
Le tre reti del nerazzurro, poi, hanno avuto un peso specifico elevatissimo. Hanno garantito il pareggio domenica contro i biancocelesti. Con il Genoa ha permesso di sbloccare un match intricato. Stesso discorso a Benevento. Tornando al raffronto con il passato, Morfeo a parte, sono pochi i nerazzurri che — pronti, via — hanno fatto vedere immediatamente numeri e continuità. Come Pazzini che, in B, a 19 anni, riuscì a segnare nove gol in 39 partite. Nella stagione successiva, in A, arrivò a 3 reti in 12 gare prima di trasferirsi, a gennaio, a Firenze. Defendi, ruolo decisamente più arretrato rispetto a Barrow, all’esordio in B mise 4 gol in 31 partite. Fine. O quasi. Perché la stragrande maggioranza dei figli di Zingonia, dopo aver strabiliato nelle giovanili, ha dovuto pagare il pegno per il passaggio in prima squadra. Un pegno che si è tradotto in un digiuno di gol. Come nei casi, solo per citarne alcuni, di Bianchi, Gabbiadini o Lazzari. Meglio, quindi, dirottare i talenti in prestito. A farsi le ossa in B per farli rientrare più preparati.
Effetto Gasp
Qui sta l’altra grande differenza con quanto sta accadendo nella gestione Gasperini. Per anni la filosofia del club bergamasco è stata quella di far crescere i ragazzi del vivaio lontano da Bergamo. E, dopo una o due stagioni, farli rientrare alla base per giudicarli definitivamente. Oggi invece la meglio gioventù viene buttata subito in acqua alta. E se affonda c’è il salvagente del prestito che, rispetto al recente passato, è diventata la seconda opzione se il ragazzo non «funziona» subito. Fortuna (e bravura dello scout e degli allenatori di Zingonia) vuole che in tanti galleggino. Alcuni, come Barrow, sembrano camminare sull’acqua.