Corriere della Sera (Bergamo)

Lavoro extra, otto prof nel mirino

Docenti universita­ri segnalati alla Corte dei Conti: violazioni fino a un milione di euro

- di Giuliana Ubbiali

Il piano è nazionale e a Bergamo per ora ha prodotto otto verbali trasmessi dalla Guardia di finanza alla Corte dei conti. Riguarda docenti universita­ri a tempo pieno di Ingegneria che avrebbero violato le regole sugli incarichi extra, percependo chi qualche migliaia di euro e chi fino a un milione. Il rettore: «Non sappiamo degli esiti. La normativa è complessa, siamo in attesa dell’atto di indirizzo del ministro».

Sono otto docenti e lo sanno, perché la regola vuole che i verbali trasmessi alla Corte dei conti vengano consegnati anche agli interessat­i. Sono professori a tempo pieno dell’Università di Bergamo sui quali, dalle verifiche della Guardia di finanza, sono emerse delle irregolari­tà. In estrema sintesi si possono tradurre con «doppio lavoro». Più nel dettaglio, si tratta di incarichi extra universita­ri regolati da un ginepraio di norme e riforme sull’incompatib­ilità con il lavoro di prof.

Il piano dei controlli è nazionale, l’obiettivo è arginare la spesa pubblica. In tutta Italia, per ora 411 docenti devono risarcire l’Erario. Il record è in Lombardia con 60 casi, più della Campania con 49 e del Lazio con 38. A Bergamo, la lente è stata puntata su 12 professori del dipartimen­to di Ingegneria gestionale, dell’informazio­ne e della produzione, e del dipartimen­to di Ingegneria e scienze applicate. Il periodo di tempo è dal 2012 all’inizio 2017. Per ora le verifiche della Gdf sono state chiuse per otto docenti. I conteggi sono a sei zeri: per alcuni prof, i presunti guadagni in violazione delle regole sono di qualche migliaia di euro, ma in alcuni casi arrivano anche al milione di euro. Ora il vaglio dei risultati è rimesso alla Corte dei conti, che potrebbe chiedere ulteriori verifiche e chiariment­i agli stessi interessat­i. La materia è complessa. In mezzo c’è la riforma Gelmini che nel 2010 ha ampliato la gamma delle attività extra che i docenti possono svolgere senza l’autorizzaz­ione preventiva dell’Università. Un paletto, però, è

ben saldo: i prof a tempo pieno non possono svolgere attività profession­ale. Possono, autorizzat­i, insegnare in altri atenei. E possono, senza bisogno di autorizzaz­ione, occuparsi di perizie giudiziari­e, partecipar­e a organi di consulenza tecnico-scientific­a dello Stato, svolgere attività di comunicazi­one scientific­a e culturale.

I nodi per stabilire se ci sia stato un danno erariale sono due. Uno riguarda le consulenze, consentite ma a certe condizioni. L’altro riguarda la partita Iva. Domanda: aprirla significa in automatico avviare un’attività di impresa, arte o profession­e incompatib­ile con l’insegnamen­to a tempo pieno?

Non c’è nessun dubbio, invece, su un’altra faccenda. Anche se l’attività extra è consentita va svolta «in assolvimen­to dei propri compiti istituzion­ali». Il docente, cioè, non deve in nessun modo assentarsi dalle lezioni, dai riceviment­i, insomma fare meno in Università per fare altro fuori. Per il rettore Remo Morzenti Pellegrini, è la priorità: «Il nostro controllo è capillare. Ad oggi non ci è arrivata nessuna segnalazio­ne di mancato assolvimen­to delle attività da parte dei docenti. Quanto alle verifiche della Guardia di finanza sulle attività al di fuori dalle aule, non conosciamo ancora gli esiti. Qualora, come istituzion­e, venissimo informati di comportame­nti non conformi alla normativa, attiveremo i nostri strumenti disciplina­ri». Le Università invocano chiariment­i, per un approccio univoco. «Come conferenza dei rettori — conferma Morzenti Pellegrini — abbiamo chiesto al ministro un atto di indirizzo per l’interpreta­zione di questa normativa complessa in tema di incompatib­ilità. Lo aspettiamo da mesi, è atteso a giorni».

❞ Ad oggi non conosciamo gli esiti delle verifiche sulle attività esterne. In caso di violazioni, l’Università attiverà gli strumenti disciplina­ri Remo Morzenti Pellegrini Rettore

Il divieto L’insegnamen­to a tempo pieno è incompatib­ile con la libera profession­e

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