La soffiata del nonnino svela l’evasione
I sospetti di un anziano a Foresto portano all’inchiesta: tasse non pagate su 16 milioni
Icontrolli e le banche dati sono fondamentali. Ma accade che lo spunto di un’indagine sia un anziano del paese che segnali un signore che continua a prelevare contanti in posta. Lo fa per il «Galèt» e viaggia su una Panda senza un copricerchione. È partita da lì l’indagine della Finanza di Sarnico che ha scoperto una frode fiscale su 16 milioni di euro su cui non sono state pagate le imposte. Nove i denunciati.
Incrociare le dichiarazioni dei redditi con l’Iva, i contributi Inps, i nomi dei titolari d’azienda. Per chi, come la Guardia di finanza, mette la testa nelle frodi fiscali, le banche dati sono indispensabili. Capita ancora, però, che le indagini partano dalle segnalazioni da bar in piazza o da panetteria a cui il fiuto del buon investigatore sa dare il giusto peso.
In questo caso l’uno e l’altro strumento si sono appaiati, nel Basso Sebino. Il risultato è la denuncia di nove persone per una frode fiscale su un volume d’affari di 16 milioni di euro su cui — secondo gli accertamenti — non sono state pagate le imposte sui redditi (circa 7 milioni) e sono stati evasi 1,7 milioni di Iva. Sotto sequestro preventivo per equivalente sono finite quote societarie, terreni, autorimesse e, tra l’altro, una villa da 300 metri quadrati a Foresto Sparso e una Harley Davidson gialla. Il provvedimento è del gip di Milano Natalia Imarisio su richiesta del pm Sergio Spadaro, perché è lì la sede dichiarata delle tre società edili finite nell’inchiesta, oltre ad altre della gomma con un ruolo marginale. Ma la vicenda è tutta lacustre. L’origine è a Foresto Sparso. Un anziano si imbatte nel luogotenente Stefano Slavazza che comanda la brigata di Sarnico e gli parla di uno strano via vai in posta. C’è un signore, che viaggia sulla Panda, che preleva spesso denaro. Più in dialetto che in italiano, fornisce due dettagli: alla Panda manca un cerchione e i prelievi vengono fatti per il «Galèt», un soprannome è probabile.
È poco per capire, ma è abbastanza per intuire che qualcosa di losco stia succedendo. Erano due anni fa, ora il cerchio investigativo si è chiuso con i sequestri. Ai protagonisti, la Finanza ha dato un nome. Angelo Benigna, 74 anni, imprenditore di Foresto Sparso, andava a prelevare i contanti in posta sui conti delle società. La figlia Lodovica, 44 anni, è titolare di una delle tre ditte, la BL service srl, le sue iniziali. Della MT e della P.B. era titolare il padre. C’è una terza persona, il geometra Giacomo Plebani di 44 anni, anche lui di Foresto, ritenuto il gestore di fatto delle aziende. È il principale destinatario dei sequestri, perché agli altri
False compensazioni Le aziende indicavano crediti di imposta inesistenti per non pagare i contributi
Redditi zero Le tre società non hanno mai dichiarato nulla, ma avevano fino a 120 lavoratori
è stata trovata poca roba. Lo assiste l’avvocato Andrea Tomaselli di Milano, che si riserva di leggere gli atti. Lo stesso l’avvocato Enrico Pollini per padre e figlia: «Ma la figlia era solo una prestanome, al massimo un’impiegata».
I finanzieri la trovano a Palazzolo sull’Oglio, in una palazzina ritenuta il centro direzionale delle società dove cè’ anche Plebani. Di documentazione contabile, però, ce n’è poca. Loro ci arrivano seguendo Benigna, già pedinato a lungo fare dentro e fuori dagli uffici postali del Sebino, più di uno al giorno, per prelevare anche 5.000 euro alla volta, anche tramite postamat. Svuotava i conti societari, ritengono gli investigatori che hanno ricostruito il meccanismo. Il denaro «avanzava» grazie alle false compensazioni dei contributi Inps dei dipendenti. L’attività era vera, nei cantieri. Gli operai, anche. Anzi, sono aumentati da un picco di 60 nel 2013 a 120 nel 2017.
I crediti, invece, non erano veri. Venivano inseriti negli appositi moduli per chiedere le compensazioni dei contributi (comunque salvi) dei lavoratori. Come dire allo Stato: «Li paghi tu, perché comunque mi devi del denaro». Alleggerendosi di questi costi, le società erano sul mercato a prezzi super concorrenziali. Non è un caso che la Finanza sia risalita a 400 clienti. Solo così ha scoperto che le tre aziende, aperte e chiuse una dopo l’altra, formalmente senza legami ma secondo l’indagine riconducibili alle stesse persone, lavoravano davvero. I redditi, invece, non erano stati dichiarati. Nel meccanismo si sono inserite altre aziende, stavolta della gomma, di Palazzolo, Sarnico, Villongo, due di Adrara San Martino e Vicenza: i titolari sono indagati.