Corriere della Sera (Bergamo)

«Una tappa sul Sebino è una occasione unica per promozione turistica ed economia»

- Roberto Amaglio

Di gare, nella sua carriera, ne ha vinte tante: tre Giri, un Tour, una Vuelta, un mondiale, una Roubaix, una Sanremo e due Lombardia, a cui vanno aggiunte un centinaio di manifestaz­ioni in giro per il mondo. Eppure, il successo sulle strade di casa di Bergamo nel corso della 21° tappa del Giro d’Italia 1976 è uno di quelli che Felice Gimondi ricorda con maggior piacere, non solo perché riuscì a lasciarsi alle spalle un certo Eddy Merckx.

«Un corridore come me, concentrat­o sulla classifica generale, non dovrebbe dare peso ai successi parziali, tuttavia quello sprint davanti al Teatro Donizetti mi ha regalato forti emozioni: correre di fronte al proprio pubblico è tutta un’altra cosa», ammette il campione di Sedrina, ora presidente del Team Mtb Bianchi Countervai­l.

La Riva del Garda – Iseo potrebbe essere una frazione in cui gli atleti di casa faranno fuoco e fiamme?

«Assolutame­nte. Un corridore come Mattia Frapporti, essendo di Gavardo, vorrà a tutti i costi mettersi in luce sulle strade della Franciacor­ta, andando a caccia di un ri- Campione sultato che vale da solo una stagione; ma la lista dei pretendent­i è lunga».

Si riferisce ai velocisti, per cui sarà l’ultima chance prima della passerella a Roma?

«Penso ai cacciatori di tappa che, su quelle strade, si allenano spesso».

Anche lei ha un legame forte con Iseo, visto che è sede di arrivo della sua Gimondi Bike. Cosa rappresent­a per il territorio l’arrivo del Giro d’Italia?

«Promozione turistica, economica e culturale per un’eccellenza italiana quando si parla di bollicine e buon vino. E questa vetrina mediatica ha anche il merito di inorgoglir­e di abitanti di quelle località: prendendo esempio dai francesi, anche noi dovremmo imparare ad andare più fieri del nostro Paese, così ben rappresent­ato dal Giro».

A proposito della Corsa Rosa, la sta seguendo?

«Sì, e ho potuto vedere in azione un Simon Yates che deve fare paura a tutti: sembra l’unico in grado di inventarsi qualcosa in settimana».

È l’inglese il suo favorito? «No, se devo fare un nome mi gioco quello di Tom Dumoulin: solido in salita, imbattibil­e a cronometro; mi ricorda il sottoscrit­to al Giro del 1976, quello che mi aggiudicai grazie all’ultima crono».

Poche speranze per gli italiani?

«Siamo partiti bene con gli exploit di Viviani e Battaglin; positive anche le prove di Formolo e Pozzovivo, che potrà giocarsi un posto tra i primi cinque. Dubito però che a Roma vedremo brindare un nostro rappresent­ante».

Colpa della globalizza­zione che ha ridotto i corridori italiani tra i profession­isti?

«Più che colpe, parlerei di un processo inevitabil­e e che, seppur con qualche stortura, ha permesso al ciclismo di diventare uno sport conosciuto e apprezzato in tutto il mondo».

Di questo ciclismo moderno cosa non le piace?

«I tempi della giustizia sportiva: è ridicolo che la vicenda Froome non si sia risolta prima del Giro. Bisogna capire come gestire queste indagini, evitando se possibile le squalifich­e retroattiv­e».

Se invece dovesse indicare un aspetto positivo?

«Il fatto che, nonostante tutti gli scandali, il ciclismo sia ancora uno sport popolare, apprezzato e praticato da molti italiani. E la diffusione della mtb, anche a pedalata assistita, contribuir­à alla crescita di questo movimento e alla promozione di una nuova viabilità: sostenibil­e, sana e a misura d’uomo».

Il territorio

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Felice Gimondi con la coppa del Giro d’Italia, il trofeo «Senza fine» (LaPresse)

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