«Una tappa sul Sebino è una occasione unica per promozione turistica ed economia»
Di gare, nella sua carriera, ne ha vinte tante: tre Giri, un Tour, una Vuelta, un mondiale, una Roubaix, una Sanremo e due Lombardia, a cui vanno aggiunte un centinaio di manifestazioni in giro per il mondo. Eppure, il successo sulle strade di casa di Bergamo nel corso della 21° tappa del Giro d’Italia 1976 è uno di quelli che Felice Gimondi ricorda con maggior piacere, non solo perché riuscì a lasciarsi alle spalle un certo Eddy Merckx.
«Un corridore come me, concentrato sulla classifica generale, non dovrebbe dare peso ai successi parziali, tuttavia quello sprint davanti al Teatro Donizetti mi ha regalato forti emozioni: correre di fronte al proprio pubblico è tutta un’altra cosa», ammette il campione di Sedrina, ora presidente del Team Mtb Bianchi Countervail.
La Riva del Garda – Iseo potrebbe essere una frazione in cui gli atleti di casa faranno fuoco e fiamme?
«Assolutamente. Un corridore come Mattia Frapporti, essendo di Gavardo, vorrà a tutti i costi mettersi in luce sulle strade della Franciacorta, andando a caccia di un ri- Campione sultato che vale da solo una stagione; ma la lista dei pretendenti è lunga».
Si riferisce ai velocisti, per cui sarà l’ultima chance prima della passerella a Roma?
«Penso ai cacciatori di tappa che, su quelle strade, si allenano spesso».
Anche lei ha un legame forte con Iseo, visto che è sede di arrivo della sua Gimondi Bike. Cosa rappresenta per il territorio l’arrivo del Giro d’Italia?
«Promozione turistica, economica e culturale per un’eccellenza italiana quando si parla di bollicine e buon vino. E questa vetrina mediatica ha anche il merito di inorgoglire di abitanti di quelle località: prendendo esempio dai francesi, anche noi dovremmo imparare ad andare più fieri del nostro Paese, così ben rappresentato dal Giro».
A proposito della Corsa Rosa, la sta seguendo?
«Sì, e ho potuto vedere in azione un Simon Yates che deve fare paura a tutti: sembra l’unico in grado di inventarsi qualcosa in settimana».
È l’inglese il suo favorito? «No, se devo fare un nome mi gioco quello di Tom Dumoulin: solido in salita, imbattibile a cronometro; mi ricorda il sottoscritto al Giro del 1976, quello che mi aggiudicai grazie all’ultima crono».
Poche speranze per gli italiani?
«Siamo partiti bene con gli exploit di Viviani e Battaglin; positive anche le prove di Formolo e Pozzovivo, che potrà giocarsi un posto tra i primi cinque. Dubito però che a Roma vedremo brindare un nostro rappresentante».
Colpa della globalizzazione che ha ridotto i corridori italiani tra i professionisti?
«Più che colpe, parlerei di un processo inevitabile e che, seppur con qualche stortura, ha permesso al ciclismo di diventare uno sport conosciuto e apprezzato in tutto il mondo».
Di questo ciclismo moderno cosa non le piace?
«I tempi della giustizia sportiva: è ridicolo che la vicenda Froome non si sia risolta prima del Giro. Bisogna capire come gestire queste indagini, evitando se possibile le squalifiche retroattive».
Se invece dovesse indicare un aspetto positivo?
«Il fatto che, nonostante tutti gli scandali, il ciclismo sia ancora uno sport popolare, apprezzato e praticato da molti italiani. E la diffusione della mtb, anche a pedalata assistita, contribuirà alla crescita di questo movimento e alla promozione di una nuova viabilità: sostenibile, sana e a misura d’uomo».
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