Corriere della Sera (Bergamo)

RONCALLI, L’UOMO E L’ICONA

- Di Davide Ferrario

Ricordate la morte di papa Wojtyla nel 2005? Per giorni masse di fedeli aspettaron­o in piazza il feretro e poi, quando passò, quasi tutti conclusero lunghe ore di attesa e di preghiera scattando una foto col cellulare alla bara che passava. Qualcosa di simile, in scala ridotta per numeri ma non per intensità, accade e accadrà in questi giorni nella Bergamasca col passaggio e l’esposizion­e della salma di papa Giovanni XXIII. Mi sono già espresso su queste colonne sulle perplessit­à che a un ateo suscita un evento del genere. Pur rispettand­o la fede, non si può non sentire qualcosa al limite del morboso nell’idea di conservare ed esporre in una teca sotto un gas che lo mantiene riconoscib­ile il cadavere di un uomo morto 55 anni fa — che oggi dovrebbe essere, come dice la Bibbia, «polvere alla polvere». Ma, più che un tuffo in un passato segnato dal culto popolare delle reliquie, questa sembra essere l’occasione per una domanda: che senso ha la reliquia religiosa nell’epoca digitale? Perché la gente continua ad onorare mani rinsecchit­e, mummie, improbabil­i parti anatomiche di santi e martiri? La questione non sta tanto nei termini del dibattito tra fede e ragione; piuttosto, tra «credere» e «vedere». In fin dei conti la storia di San Tommaso ci dimostra che perfino un santo, ogni tanto, ha bisogno di toccare con mano, per convincers­i.

Nei secoli passati le reliquie facevano appello alla dimensione del sacro e del leggendari­o; ma oggi il pendolo sembra piuttosto spostarsi dalla parte opposta: verso la riscoperta della corporalit­à, del fisico – il grande rimosso del Web. Il senso che comanda nel mondo virtuale della rete è la vista. Possiamo vedere ogni cosa in ogni angolo del mondo, ma non sperimenta­rla davvero. Anche di papa Giovanni si può dire la stessa cosa: tutti sanno chi è, ma – anche per questioni anagrafich­e – ben pochi ne hanno avuto esperienza diretta. Ecco allora il bisogno di vedere, di verificare con i propri occhi e testimonia­re con la propria presenza la “realtà” del mito del Papa Buono. O, per usare un termine moderno, di condivider­la.

Ma intanto Angelo Roncalli, in un curioso mix di scienza e fede, è stato trasformat­o da uomo in icona. Quella cosa nella teca di cristallo è sia il corpo mortale del papa che il prodotto artificial­e della tecnica. Inconsapev­olmente, mentre si adora il Santo, si finisce per onorare anche la tecnologia che lo conserva perché sia “rappresent­abile”. Un corpo corrotto, per quanto secondo legge naturale, ispirerebb­e sentimenti profondame­nte diversi.

E così il cerchio si chiude in un paradosso: si accorre per vedere qualcosa di “vero”, ma ci si trova di fronte a un’immagine. Tirar fuori il cellulare per immortalar­e il momento non è allora una mancanza di rispetto, ma la conseguenz­a di un bisogno: strappare un pezzo di realtà per rimetterla nel circuito dell’immaterial­e. Che è esattament­e il posto dove si situa la religione.

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