Corriere della Sera (Bergamo)

Il grido d’allarme dei reclusi: qui siamo in 600 per 200 posti

Uscita lampo di Bossetti per passare il fazzoletto sull’urna Un carcerato musulmano: messaggio di pace per tutti

- Di Gisella Laterza

L’arrivo in carcere delle spoglie di Papa Giovanni XXIII è una porta sull’esterno dei detenuti. Che lanciano il grido di allarme: «Siamo in 600 su 200 posti». Il dato reale è che sono 560 su 320 posti, ma il concetto è lo stesso: sovraffoll­amento. Chi è chiuso in via Gleno si è messo in fila per passare il fazzoletto sull’urna del santo. Uomini e donne. Uscita lampo anche dalla sezione speciale. Tra questi c’era anche Massimo Bossetti, in attesa della Cassazione per l’omicidio di Yara Gambirasio. I detenuti hanno scritto delle lettere per il Papa. La famiglia, i figli, la voglia di ricomincia­re. «Stiamo pagando il conto — è il pensiero comune — . Vogliamo vivere con dignità».

«Siamo in 600 per 200 posti. Ci sono celle con tre persone dove dovrebbe starcene solo una». Maurizio Bruno ha 52 anni e, come gli altri detenuti di via Gleno che hanno chiesto di essere presenti, aspetta l’urna di papa Giovanni XXIII. Intanto racconta come si sta qui ogni giorno. La capienza ufficiale (ministero della Giustizia) è di 320 posti e i detenuti allo stato sono 560. Il suo è uno sfogo: «Il sovraffoll­amento ci soffoca, non ci permette di vivere con dignità».

Ricorda che papa Giovanni «è stato il primo a entrare in carcere per dare un significat­o anche a noi, e ora è qui ancora. Anche se siamo gli ultimi, chiediamo di poter scontare dignitosam­ente i nostri errori e, se possibile, reinserirc­i nella società». Bruno sconta la pena da 16 mesi «per tentata estorsione ed usura». Conclude: «Sto aspettando di tornare dalla mia famiglia e, una volta uscito, chiederò la revisione degli Tra gli ultimi Giovanni XXIII fu il primo Papa a far visita ai carcerati Ieri a Bergamo detenuti in fila per omaggiare spoglie atti».

Il sole è forte, il coro gospel Anghelion di Nembro innalza un canto e i preti del penitenzia­rio iniziano una preghiera. Arriva la notizia che l’urna è alle porte, ma è trattenuta dalla folla di fedeli all’esterno. Maurizio Bruno torna tra i 200 carcerati che aspettano seduti in file ordinate nel cortile. Da lì si alza un’altra figura, si avvicina passando tra i poliziotti, dopo aver chiesto il permesso. Si chiama Jendoubi Mourad, è tunisino, ha 45 anni. Sposato con un’italiana, è a Bergamo dal ’95 ed è in via Gleno dal 2012. Di fede musulmana, trova la visita delle spoglie del Papa «un messaggio di pace per tutti, qualunque sia la religione». Se gli si chiede di raccontare la sua storia, fa passare una mano nei ricci neri. «Ho sbagliato. Spacciavo», sintetizza. «Uscirò tra pochi mesi e per prima cosa cercherò lavoro. Sono un barbiere. Non voglio tornare qui. Ho pagato, sono stato per sei anni lontano dai miei figli e non voglio farlo di nuovo».

Dall’altra parte del cortile ci sono le detenute della sezione femminile. Tra loro, Vincenza Leone, 52 anni, in via Gleno da 9 anni, dove resterà per altri 8. «Ho scritto una lettera per papa Giovanni — dice —. Oltre a essere qui per me stessa, gli affido mia figlia. Ho letto la storia di questo Papa e so che è stato vicino a chi ne aveva più bisogno, ai più deboli». Continua raccontand­o che si trova qui, «perché stavo con un uomo che viveva nell’illegalità. Ha commesso un reato e sono stata coinvolta. Sto pagando il mio debito con la giustizia».

Le porte si aprono ed entra il pick-up con l’urna. Il vescovo Francesco Beschi ricorda quando papa Giovanni XXIII entrò nel carcere di Regina Coeli, a Roma, e conclude il discorso rivolgendo­si ai detenuti: «Vorrei che vedeste nei lineamenti del santo Papa, che tra poco guarderete da vicino, questa possibilit­à di riscatto che è donata e offerta a tutti».

Gli agenti di polizia formano due file per indicare la strada. Uno a uno, i detenuti si alzano e si avvicinano a papa Giovanni. Tengono in mano un fazzoletto giallo, lo appoggiano all’urna, se lo portano al petto. Qualcuno, prima, lo bacia. C’è chi si allontana con gli occhi bassi, chi con un sorriso grande, chi guarda sorpreso la schiera di giornalist­i e fotografi. Tocca poi alle carcerate, che portano fazzoletti bianchi. Infine, i poliziotti formano due file più compatte e in mezzo a loro passano i detenuti della sezione speciale, che, per tutta la durata della manifestaz­ione, hanno aspettato nell’edificio, sulla soglia. Tra loro c’è Massimo Bossetti, che passa veloce, arriva all’urna e la tocca con il fazzoletto giallo, si allontana. Dura pochi secondi. Subito dopo, rientra nell’edificio insieme agli altri e le file di poliziotti si chiudono dietro di loro.

Sono quasi le sei di sera quando le spoglie stanno per ripartire per la città. Un carcerato saluta leggendo una lettera scritta a nome di tutti, che si rivolge al Papa e si conclude così: «Vi raccomandi­amo i nostri bambini, che sono tutta la nostra poesia e la nostra tristezza». Sulle ultime parole, gli occhi di una poliziotta brillano.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy