Corriere della Sera (Bergamo)

Pure tu vuo’ fa il napoletano

Moni Ovadia si lancia in un «Concerto Napòlide» con testi di Erri De Luca

- Livia Grossi

«Sono felice di dar voce al testo di Erri De Luca, ma anche di cantare quattro canzoni in napoletano, venite in teatro a ridere di me!». Moni Ovadia lancia la sua ironica sfida con «Concerto Napòlide», un viaggio in musica tra gli interstizi più segreti di quella città meraviglio­sa e contraddit­toria, un racconto per riflettere su cosa significa essere esule nel proprio Paese (oggi e domani al Menotti, via Menotti 11, ore 20.30, ingr. 21,50 euro). «Nel primo capitolo del suo libro — dice l’attore — Erri De Luca afferma che se sei nato a Napoli, ti stacchi e perdi la cittadinan­za, diventi “Napòlide”, figlio per sempre di quel ventre, di quel luogo che si è innestato dentro di te». La migrazione è da sempre un tema al centro dell’attenzione di Ovadia: «queste pagine sono importanti perché aiutano a guardare il mondo con altri occhi, a vedere davvero ciò che ci circonda, a diventare “napòlidi” insomma, tutti dovremmo imparare a esserlo: l’esilio è l’unica vera condizione di dignità per l’essere umano perché ti libera dalle ataviche paure e ti consegna al mondo, se poi quel sentimento di distacco e amore si è in grado di viverlo anche nella propria città è un vero capolavoro».

In scena dunque un testo poderoso e pungente che tra le note mediterran­ee del quartetto Ànema (Marcello Corvino, Massimo De Stephanis, Fabio Tricomi e Biagio Labanca), ci accompagna nei vicoli di Napoli, raccontand­o luoghi folli e invisibili come «la città dei poveri», ma anche caratteri, Viaggiator­e Moni Ovadia porta il suo «Concerto Napòlide» oggi e domani al teatro Menotti odori e personaggi, «non voglio svelare troppo, vi dico solo che tra le pagine più belle ce n’è una dedicata a Eduardo, una vera perla». Tra i momenti più attesi del progetto Ànema&Moni Ovadia, la riproposiz­ione del repertorio tradiziona­le partenopeo, da «A Casciafort­e» a «Indifferen­temente». «Dobbiamo imparare a farci attraversa­re dai posti che incontriam­o. Se guardiamo Napoli negli occhi, nell’anima di quella città dove il semaforo rosso è un consiglio e chi si ferma è uno “svedese”, scopriremo una luogo prodigioso che anche nella tragedia sa conservare una grazia antica e una grande dose di umanità».

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