I «fratelli» musulmani traditi: «Pregammo El Joulani per i soldi»
L’Unione intermediaria con il Qatar: gli credemmo, ma cambiò i piani senza dirlo
Questa è una storia tra «fratelli» musulmani, di cinque milioni che la Qatar Charity Foundation trova come fossero spiccioli e spedisce a Bergamo per costruire una nuova moschea. Ma secondo l’accusa è una truffa, perché il denaro non è finito alla destinazione pattuita. L’imputato è l’ex presidente del Centro islami- co, Imad El Joulani. L’attuale, Mohamed Saleh, è parte civile. Ieri il responsabile delle associazioni dell’Ucoii, intermediario con il Qatar per l’arrivo del denaro, ha confermato l’inganno: «Ci fidavamo di lui, gli chiedemmo di fermare tutto e restituire i soldi. Invece non volle darci nessuna informazione».
«Fratello Baha», medico di Milano, lo mise in guardia. I cinque milioni della Qatar Charity Foundation destinati al Centro islamico di via Cenisio, per costruire la nuova moschea di Bergamo, erano finiti alla neo costituita Associazione comunità islamica di Bergamo (Cib). Sami Trabelsi, responsabile dei rapporti delle associazioni per l’Ucoii (Unione comunità islamiche in Italia), chiamò subito «fratello Saleh», il vice presidente del Centro che cadde dalle nuvole. Il presidente era Imad El Joulani, fondatore della Comunità islamica, ora a processo per truffa. Mohamed Saleh, l’Ucoii e la fondazione sono parti civili. I musulmani si chiamano fratelli «perché tra di noi c’è fiducia», dice Trabelsi. Ma secondo l’accusa, c’è una fiducia tradita giocando sull’equivoco Centro islamico — Comunità islamica.
Trabelsi, ieri testimone in aula, ha elencato una lista di nomi arabi. «Massime cariche» della fondazione che parteciparono ai sopralluoghi per scegliere il posto giusto. Zingonia, in origine, poi via Baioni. «Ma a condizioni che El Joulani avesse i permessi per ristrutturare l’immobile». I soldi c’erano, serviva l’Iban per mandare i bonifici tramite la triangolazione Qatar — Roma (Ucoii) — Bergamo. «El Joulani si era presentato come centro islamico, ci ha dato l’iban, ci siamo fidati e lo abbiamo girato al tesoriere». Era conosciuto: tra i fondatori dell’Ucoii, nel comitato dei garanti, nel consiglio dell’Alleanza islamica. Poi dal «fratello» di Milano arrivò la notizia. Si scoprì che per via Baioni non c’erano i permessi e, a cose ormai fatte, spuntò via San Fermo. «Dal Qatar mi hanno telefonato per andare a vedere l’immobile, l’ho fotografato e ho spedito le foto. Abbiamo pregato El Joulani di non firmare il rogito, non si era consultato con nessuno prima di prendere la decisione. Abbiamo cercato di far tornare i soldi al centro islamico o di ridarli al Qatar. Lui non ha voluto darci il minimo delle informazioni. Allora abbiamo deciso di andare in tribunale».
La querela arrivò sul tavolo del pm Carmen Pugliese, ci lavorò la Guardia di finanza. L’avvocato Perla Sciretti, per El Joulani, ieri in aula ha insistito con il colonnello Davide Picciafuochi sui tempi delle verifiche bancarie e sulle provviste dell’Ucoii. Lo scopo, si può intuire, era fare emergere chi avesse girato il denaro alla Comunità islamica e se questa, che secondo l’accusa è stata costituita ad hoc, ne avesse ricevuto altro da altre fonti (risultano tre assegni da comunità di Roma e Piacenza). L’intermediario è chiaro: l’Ucoii. Ma per il colonnello è altrettanto chiaro che i cinque milioni siano stati usati «in modo non consono». Questo, sulla base dell’esposto del tesoriere, «non della persona della strada», e dei bonifici. Quanto alle date, il «punto zero» da cui partire per chiedere gli accertamenti bancari fu il primo bonifico.