Noi City Angels, non solo in stazione
Il gruppo vuole allargare la sua missione. L’assessore Gandi: accordi da rivedere
In fondo a una giornata sfiancante, niente nostalgia del divano: i City Angels si cingono del basco azzurro, stipano lo zaino e attraversano la notte, per presidiare i quartieri difficili, oggi i dintorni della stazione, e confortare chi vive ai margini. È un mercoledì sera, il cielo lampeggia. Nella routine dell’associazione, nata a Milano nel ‘94 e sbarcata a Bergamo 20 anni dopo, è la prima delle tre sere d’operatività.
Assomiglia a un bunker la sede, al pianterreno del multipiano alla rotonda fra via Foro Boario e via Bono. Le stanze, concesse dal Comune a fine 2014 dopo una parentesi in un garage, traboccano di scatoloni: cibo, una piramide di bottigliette d’acqua, pile di vestiti, scarpe. Tutto schedato e organizzato, come negli scenari post-apocalittici dei film. «Farà sorridere, ma nessuno ci dona mutande e calzini: siamo costretti a comprarli — spiega Manuela Pellegrini, «Up» come nome in codice —. Mi ha spinto qui il terrore dei barboni: in viaggio, mi tremavano le gambe quando passavo nelle zone buie. A 54 anni ho superato una mia paura».
Fuori dalla porta c’è coda, in attesa di ricevere gli indumenti. Un solo utente alza la voce, la marea di chi ha bisogno è silenziosa. Alcune donne sono così consunte che qualsiasi taglia si affloscia addosso. Capita spesso. I corpi scavati, come il volto che ringrazia a stento i volontari, febbrili finché la fila di fantasmi non s’è diradata. I bollitori smettono di gorgogliare: con i thermos di tè carichi, le squadre di «angeli» escono in servizio. Il venerdì sono affiancati da un’Unità di strade della Croce Rossa, che prova la pressione e stima la percentuale di ossigeno nel sangue con il saturimetro. «Fino a pochi mesi fa eravamo 14, adesso siamo 34 — spiega il coordinatore «Night», Francesco Graziano —. Crescere a livello numerico e rimanere in un recinto non ha senso: per adesso sorvegliamo solo la zona della stazione, ma auspichiamo di poter tornare a occuparci in toto della città». Il caso è d’inizio aprile, quando è arrivata una strigliata dal vicesindaco Sergio Gandi perché una squadra era sconfinata alla Clementina, su invito dei residenti. «La convenzione deve essere aggiornata per consentire loro di operare altrove — risponde Gandi —. Noi siamo responsabili verso la Prefettura di quel che fanno. Dunque, se sono disponibili a fare di più, devono concordarlo con l’amministrazione». Mercoledì prossimo è fissata una riunione. Piazzale Marconi sta stretto agli «angeli», che nel lecchese, per esempio, vengono sovvenzionati dai Comuni.
In formazione, la squadra cammina sul retro della stazione autolinee. Al muro di cemento si appoggiano una decina di letti di fortuna. Un cumulo di coperte, coppie più o meno stabili. Un senzatetto si altera, i vicini cercano di calmarlo. Chiedono cibo, mentre tengono al sicuro le crocchette per il cagnolino che divide con loro la trapunta e l’asfalto. Per molti è una costrizione, altri la strada l’hanno scelta. Staranno lì, anche se in stazione passa il pulmino del patronato. D’inverno, qualcuno migra all’aeroporto. «Una volta ci hanno chiesto un trolley per fingersi turisti», raccontano gli Angels. Nella ronda verso la stazione, dove controllano i treni fermi al binario, vengono fermati ogni pochi passi. Svuotano lo zaino, dispensano parole e sorrisi. «Due settimane fa un tossico è stato male alle pensiline — racconta «Last», Silvia Capelli —. Se non fossimo intervenuti noi, nessuno avrebbe chiamato l’ambulanza». È per questo, dice, che è diventata un City Angel. I turisti assiepano i tavolini dei ristoranti, quando si ritorna verso la luce del viale che sfocia in quel mondo d’ombre.
I baschi blu «Crescere a livello numerico e rimanere in un recinto non ha senso»