L’accusa all’ex questore e i pareri diversi dei giudici
È ormai ben noto che dopo i primi sospetti di funzionari e ispettori dell’Inps, le indagini sulla bancarotta fraudolenta della Maxwork — società di lavoro interinale con sede a Bergamo — e sulla truffa all’istituto previdenziale, avevano subìto un’accelerazione dopo quel pranzo del novembre 2014 alla Taverna Colleoni, in Città Alta, organizzato dal questore di Bergamo Fortunato Finolli. Commensali: l’amico Giovanni Cottone, procacciatore d’affari per la Maxwork, e il presidente dell’Inps Angelo D’Ambrosio. L’obiettivo era convincere D’Ambrosio a esprimere un parere favorevole alla dilazione e rateizzazione del debito di Maxwork sui contributi. Ma dopo l’incontro il direttore dell’Inps era andato in procura a raccontare l’accaduto, spiegando di essersi allontanato dal ristorante. Solo sei mesi dopo il primo colloquio con i magistrati, però, D’Ambrosio aveva aggiunto ulteriori dettagli su quel pranzo. Aveva detto, ad esempio, che il questore e l’amico avevano fatto battute sul suo smartphone, un po’ datato, prospettandogli la possibilità di fargliene avere uno nuovo, magari con l’aggiunta di un tablet. Nella successiva battaglia sulle misure cautelari (Cottone è stato in carcere e Finolli ai domiciliari), il tribunale del Riesame aveva definito D’Ambrosio «poco credibile», proprio perché aveva aggiunto il dettaglio del telefonino con sei mesi di ritardo. Un parere però non condiviso dal gup Raffaella Gaudino, che ha condannato Cottone in abbreviato anche per istigazione alla corruzione, perché «essi (riferito sia a Cottone sia a Finolli, che aveva già patteggiato un anno e 11 mesi, ndr) intendevano indurlo ad accogliere l’ennesima richiesta di dilazione con l’offerta di un telefono cellulare di ultima generazione».