LA PACCHIA INFINITA
Esistono temi e istanze che certamente rendono parecchio alle elezioni: l’accoglienza dei profughi e i suoi costi, e più in generale l’immigrazione, sono stati gli autentici cavalli di battaglia della lunga campagna elettorale del neo ministro dell’Interno Matteo Salvini, proseguita con i primi passi del nuovo governo e con l’ormai noto annuncio: «La pacchia è finita». «I profughi o finti tali —– è l’argomento in sintesi — costano. Li manteniamo noi». Alla fin fine, ogni istanza elettorale (che corrisponda al vero o sia mero slogan), deve avere pur sempre una sua ricaduta economica, per rendere. E allora la cronaca, più spesso quella locale, non può non far pensare a quanta pacchia, d’altro tipo ma pur sempre di carattere economico (ammesso che quella degli immigrati lo sia), viene trascurata dalla politica, quasi nella sua interezza: quante volte ogni anno, se non ogni mese, spuntano aziende che sono semplicemente macchine di fatture false da trasformare in contanti sulle spalle del Fisco e quindi dei cittadini? E quante volte le inchieste svelano la pacchia infinita di aziende vere, che utilizzano manodopera somministrata da società o cooperative dubbie spesso al centro di false compensazioni, di trucchi o omissioni sui contributi previdenziali, altre volte di finte assunzioni? Temi scomodi, o forse solo impopolari, delegati finora solo alla buona volontà, quando c’è, della magistratura. Molto più raramente a contromisure studiate (e men che meno pubblicizzate) dal mondo politico.