LA LEGGE PARALLELA
Le carceri, per quanto aperte al territorio, sono sempre mondi a sé. Ma quelle di via Gleno, stando all’inchiesta della Procura che ha portato a 6 arresti e 21 persone sotto indagine, sembrano esserlo di più. Qui vigeva la legge del direttore Antonino Porcino, fresco di pensione, arrestato per corruzione, falso, peculato e turbativa d’asta, che professionalmente rispondeva a se stesso. Oltre a essere il responsabile della casa circondariale di Bergamo, è stato il reggente del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria in Lombardia. In virtù di questo faceva coincidere le figure del controllato e del controllore. Che è già un azzardo in un mondo perfetto, figuriamoci quando il controllore e il controllato mostrano una spiccata passione per il gioco, oltre a un modo spiccio di risolvere le cose. Non secondo legge, ma secondo la legge Porcino, che è un’altra cosa. Di questo «ordine» sui generis rischia ora di pagarne le conseguenze, sotto un profilo di incompatibilità ambientale, anche il procuratore di Brescia Tommaso Buonanno, che in via Gleno andava in visita al figlio, arrestato per rapina. Nelle intercettazioni il magistrato chiedeva di poter stare un po’ di più con il figlio, che ne aveva manifestato il bisogno, come il regolamento penitenziario prevede («in particolari circostanze» anche più di un’ora). Il capo delle guardie diceva al sottoposto: «Noi registriamo sempre un’ora». Il fine del procuratore era nobile, la modalità delle guardie meno. Ma nell’ordinamento di Porcino, la legge non era uguale per tutti.