Corruzione, in carcere Porcino
L’ex direttore di via Gleno in cella a Parma. L’accusa: soldi e regali da due imprenditori
Isuoi 33 anni di servizio alla direzione del carcere di via Gleno erano terminati il 31 maggio. Da ieri Antonino Porcino è in carcere a Parma, da detenuto. Avrebbe intascato contanti da due imprenditori, padre e figlia di Urgnano, secondo l’accusa, per soffiate su un appalto nel carcere di Monza, tramite il commissario della penitenziaria Daniele Alborghetti: è ai domiciliari, come gli imprenditori, il dirigente sanitario di via Gleno, Francesco Bertè, e il comandante della penitenziaria Antonio Ricciardelli.
In pensione dal primo giugno dopo 40 anni di servizio nell’amministrazione penitenziaria, di cui 33 alla guida della Casa circondariale di via Gleno, l’ex direttore Antonino Porcino è stato arrestato e portato nel carcere di Parma nella mattinata di ieri, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dai sostituti procuratori Emanuele Marchisio e Maria Cristina Rota, con i carabinieri di Clusone in prima linea e il nucleo di polizia economica della Guardia di finanza di supporto. Dopo i primi accertamenti sull’assenza dal carcere dell’imprenditore Gregorio Cavalleri — portato in ospedale per un presunto stato di choc senza avvertire il gip di Vibo Valentia che aveva disposto la detenzione in cella — agli occhi e alle orecchie (tra cimici e telefoni sotto controllo) degli investigatori si è aperto uno scenario in cui Porcino è risultato protagonista, con «fatti di spessore criminale» e attorno «molteplici figure di soggetti, appartenenti a svariati settori pubblici e o privati, coinvolti o potenzialmente da coinvolgere in ulteriori reati» scrive il giudice delle indagini preliminari Lucia Graziosi nell’ordinanza di custodia cautelare. Ma, ancor prima di una rete di affari veri, o potenziali, è emerso anche un insieme di personaggi, che considerano «l’amministrazione di appartenenza (quella penitenziaria, ndr), come uno strumento di ausilio al fine dell’ottenimento di vantaggi personali e privati», oppure pongono «in essere molteplici condotte sussumibili in diverse fattispecie di reato, in spregio delle ordinarie regole di legalità, trasparenza e veridicità».
L’ex direttore è quindi in carcere accusato di aver violato le norme sull’impiego nella pubblica amministrazione, con un periodo di malattia otsato tenuto grazie a Matteo Zanella, medico di base, dal 29 gennaio al 2 marzo e poi dal 5 marzo fino al 31 maggio, suo ultimo giorno di lavoro prima della pensione. Nella ricostruzione dell’accusa Porcino avrebbe anche usufruito di false certificazioni del direttore sanitario del carcere Francesco Berté (agli arresti domiciliari) e del responsabile dell’Unità di psichiatria di consultazione dell’ospedale Papa Giovanni Pietro Zoncheddu, per ingannare la commissione dell’ospedale militare di Milano su un suo presunto stato d’ansia o sindrome ansioso-depressiva. Ma è l’ipotesi di corruzione ad aver spalancato le porte di una cella a chi, per 33 anni, un carcere l’ha diretto: Porcino, secondo i servizi di osservazione dei carabinieri e una cimice sulla sua auto, avrebbe incas- regali e intascato soldi — almeno 3.800 euro nella sola occasione del 29 marzo — da Mario e Veronica Metalli (agli arresti domiciliari entrambi), padre e figlia, imprenditori della Alfa Express di Urgnano a cui avrebbe fornito informazioni su un bando per i distributori automatici nel carcere di Monza, grazie al commissario della polizia penitenziaria Daniele Alborghetti (distaccato a Monza). Un passaggio di informazioni che avrebbe penalizzato, per l’appalto a Monza, un’altra società bergamasca, la Ivs di Valbrembo, titolare del precedente contratto.
C’è un carcere, con i suoi uomini, al servizio di certi affari, nell’inchiesta in corso. Ma anche e soprattutto al servizio dei suoi stessi uomini. Quando ad esempio il direttore chiede a un agente di recuperargli un po’ di tubi, a uso privato, che «devono essere lì, sotto il penale...erano avanzati dai lavori...» dice facendo riferimento a un’area della casa circondariale. O quando Alborghetti spiega che vorrebbe l’imprenditrice «senza mutande e in minigonna» abbozzando a una lista di favori fantomatici (oltre ai soldi che sarebbero veri secondo chi indaga) da chiedere. E poi c’è il capo della penitenziaria, anche lui in servizio da anni, Antonio Ricciardelli (ai domiciliari), che resta impantanato in un giorno di pioggia in un fossato vicino all’ospedale Papa Giovanni. E chiama i suoi sottoposti, in servizio e con auto ufficiale, per farsi recuperare. E sempre Ricciardelli chiede di piazzare in infermeria il medico Emanuela Nesci, che si ritrova assunta nel giro di breve tempo, con l’avallo, ricostruisce l’accusa, anche del direttore dell’unità di continuità tra Ospedale e Territorio, Claudio Arici (anche lui tra gli indagati a piede libero). Per ora, tra le difese, regna il silenzio. Com’era regnato, ma solo per pochi giorni, su quel trasferimento sospetto di Cavalleri dal carcere all’ospedale.
❞ Il giudice L’amministrazione pubblica come strumento per ottenere vantaggi personali