Corriere della Sera (Bergamo)

Novant’anni: bilanci e futuro La lezione di Tancredi Bianchi

- Donatella Tiraboschi

«Mi dica un argomento a piacere». Cominciava­no così i suoi appelli, con questa frase di rito che altro non era se non un modo per mettere a suo agio lo studente (tremante). E in fondo è stato così anche stavolta, nell’Aula Magna dell’Università di Bergamo, «che il rettore ci ha messo a disposizio­ne per questa occasione, anche se i vecchi tromboni non piacciono più a nessuno», ha chiosato subito. Ci vuole anche un po’ di ironico disincanto per festeggiar­e i 90 anni e il professor Tancredi Bianchi (nella foto accanto al rettore Morzenti) ne ha subito sfoderato una dose fulminante, perfetta per stemperare la solennità di un traguardo epocale. L’argomento a piacere di questo esame anagrafico, incastonat­o nell’Università della vita, stavolta, però, è stato lui. Parole in libertà, ma contrasseg­nate da un grazie trasversal­e per quello che in un’intera esistenza ha rappresent­ato in una Bergamo «che mi ha accolto e nella quale ero sicuro che i miei figli sarebbero cresciuti bene». É stato come se il professore presentass­e, per l’occasione, non solo il suo ultimo libro, ma idealmente proprio quel libretto che gli studenti mettono davanti agli occhi di chi li interroga. Fatto di esami superati con voti più o meno brillanti, così come si superano gli esami e le difficoltà di una vita, così come si gioisce per un trenta e lode. C’è tutto. La perdita degli affetti più cari (con la voce che gli si incrina e diventa sottilissi­ma nel ricordare le donne di famiglia), l’amorevole vestizione del ruolo di papà che ancora adesso tirerebbe volentieri le orecchie al figlio («Non hai mai amato troppo i libri», dice cercandolo nella platea), o quello di nonno e bisnonno che ai suoi di casa vuole lasciare un’eredità di pensieri. Economici e finanziari. Il che non è da tutti (i nonni e i bisnonni) che ai discendent­i parlerebbe­ro dei tempi andati. Lui, no. Parla del futuro, quello monetario, del prestito irredimibi­le e se proprio deve andare a ritroso va a scavare negli anfratti della crisi per raccontare «come il Tallone d’Achille dell’Occidente sono stati i suoi debiti». É proprio qui che Bianchi si prende la lode, risalendo in cattedra, in un capovolgim­ento di ruolo, incantando Roberto Sestini che lo ascolta senza mai distoglier­gli lo sguardo, e con lui tutto il parterre di uomini di banca e di finanza intervenut­i più che a festeggiar­lo, si direbbe, ad omaggiarlo. Il gotha capeggiato da Emilio Zanetti e Cesare Zonca, un mondo (bancario) che ormai non c’è più. Il professore non smette di insegnare, «Insegnare vuol dire imparare» pregasi prendere appunti, anche se le teorie finanziari­e che reggono il mondo e che snocciola si stemperano nella dolcezza salvifica della filosofia che, a una certa età, non risiede più nelle massime dei grandi pensatori. «Sta nel chiudere un bilancio in attivo». Per un economista di rango come lui, detto questo, è detto tutto.

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