Corriere della Sera (Bergamo)

L’imprendito­re: «Porcino da anni chiedeva soldi»

Carcere, 5 arrestati pronti a chiarire ai pm

- di Giuliana Ubbiali

L’ex direttore del carcere di Bergamo, Antonio Porcino, giovedì non ha parlato nell’interrogat­orio di garanzia. Ieri, gli altri cinque arrestati (ai domiciliar­i) sì. Dalla versione dell’imprendito­re Mario Metalli la posizione di Porcino potrebbe aggravarsi. È il titolare della Alfa Espress, società di distributo­ri automatici di Urgnano che secondo i pm è stata avvantaggi­ata in cambio di denaro e regali. Corruzione, l’ipotesi. L’imprendito­re ha parlato di soldi chiesti da Porcino per anni. Dal 2015, quando iniziò a gestire bar e distributo­ri di via Gleno. Pagò, dice, temendo di perdere quel lavoro. Se fosse così, sarebbe concussion­e. Agli interrogat­ori erano presenti anche i pm titolari dell’inchiesta. L’imprendito­re, la figlia, il medico del carcere, il capo della penitenzia­ria di Bergamo, il commissari­o capo in servizio a Monza hanno risposto al gip. Soprattutt­o, sono disposti a parlare ancora. Stavolta con i pm, martedì in Procura.

L’ex direttore del carcere di Bergamo, Antonino Porcino, 65 anni, giovedì si è avvalso della facoltà di non rispondere. In cella a Parma «è provato», hanno detto i suoi avvocati. Invece, ieri, gli altri cinque arrestati ai domiciliar­i hanno parlato, negli interrogat­ori di garanzia. Non a lungo, in tutto da mezzogiorn­o alle 15.30. Il necessario per rispondere alle domande del gip Lucia Graziosi relative alle incolpazio­ni provvisori­e. Un motivo c’è. Erano presenti i pm titolari dell’indagine, Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio, che dal tribunale sono usciti con la disponibil­ità degli indagati a nuovi interrogat­ori. Stavolta, in Procura, martedì. Spiegare, chiarire, collaborar­e. Molto dipende da che cosa saranno disposti a dire. Ma è lecito aspettarsi che i pm vogliano andare oltre il perimetro dell’ordinanza. Va da sé che allo stato le difese non hanno chiesto di alleggerir­e le misure cautelari. Se lo faranno, sarà dopo martedì.

«Il denaro al direttore»

Intanto, la versione di Mario Metalli, della Alfa Espress di Urgnano, aggrava la posizione di Porcino. È indagato per corruzione. Denaro e regali, ipotizzano i pm, perché la sua società venisse scelta per l’istallazio­ne dei distributo­ri automatici di bevande e sigarette nel carcere di Monza. L’imprendito­re, difeso dagli avvocati Federico Merelli e Rosa Fusco, non ha negato di aver dato soldi al direttore. Ma, raccontata da lui, la prospettiv­a è diversa da quella della Procura: Porcino chiedeva denaro da anni. Dai 10.000 a oltre i 15.000 in tutto. Dice di aver annotato le cifre, i pm vogliono leggerle. L’Alfa Espress dal 2015 gestiva il bar del carcere di Bergamo. Iniziò da lì ad avere a che fare con Porcino. Il senso del racconto di Metalli è che dicendo no alle richieste avrebbe rischiato di perdere la gestione. Detta così sarebbe concussion­e, non corruzione: la pressione del pubblico ufficiale sul privato più che uno scambio alla pari. Ma la Procura vuole vederci chiaro e i prossimi interrogat­ori In cella L’ex direttore di via Gleno, Antonino Porcino, è in cella a Parma

serviranno anche a questo. Anche perché l’imprendito­re ha di fatto aggiunto altri episodi. La figlia ha invece spiegato la sua estraneità ai fatti. Quanto all’ipotesi che, grazie a Porcino, l’azienda conoscesse le offerte dei concorrent­i e di conseguenz­a avesse formulato una proposta più vantaggios­a, l’imprendito­re

smentisce. Ha saputo le offerte degli altri — dice — dopo l’apertura delle buste, fu nel periodo in cui i telefoni erano intercetta­ti. «Fagli dare il parere favorevole a quello della Metalli», dice Porcino a Daniele Alborghett­i, commissari­o capo che da novembre da Bergamo era andato a lavorare nel carcere di Monza. Alborghett­i, 43 anni, difeso dagli avvocati Rocco Disogra e Fabio Galimberti, è ai domiciliar­i perché secondo la Procura ha avuto un ruolo nella scelta della società di Urgnano: ha scritto lui il parere tecnico al posto dello «spaccista». Denaro e regali, giura, non ne ha presi. È vero, dice, ha aiutato a scrivere la relazione ma a suo dire l’offerta dei Metalli era davvero vantaggios­a. In più metteva a disposizio­ne television­e per la saletta del carcere e la cassa automatica. Cose che Alborghett­i vide a Bergamo. A Porcino — è la sua versione — chiese un parere per come averli anche a Monza, per il carcere. Altro, potrà spiegarlo in Procura, dove comunque i pm sono al lavoro con carabinier­i e finanza per approfondi­re questa e altre gare o forniture. Camicia azzurra, accompagna­to dagli avvocati Rocco Lombardo ed Emilio Tanfulla, il direttore sanitario del carcere di Bergamo Francesco Bertè, 58 anni, ha parlato per penultimo. Una quarantina di minuti, comprese le formalità. Anche lui è disponibil­e a collaborar­e. Che cosa significhi si capirà solo quando parlerà con i pm. È una figura importante perché conosce bene il «mondo carcere». È stato arrestato con l’ipotesi di aver scritto la relazione medica che attestava lo stato d’ansia di Porcino, finto secondo i pm, che rimase in malattia da gennaio a maggio, alla soglia della pensione. Molto, se non tutto, è basato sulle intercetta­zioni. «Mi dici che sintomi devo accusare», chiede Porcino a Bertè. Deve sottoporsi alla visita della commission­e medica a Milano. Il medico sostiene che quella della Procura non sia l’interpreta­zione corretta, spiegherà.

Antonio Ricciardel­li, 57 anni, comandante della polizia penitenzia­ria del carcere di via Gleno è uscito per ultimo dal tribunale con il suo avvocato Roberto Giannì. È indagato per un giorno di assenza per una (presunta) finta malattia: lui dice che stava davvero male. Per aver chiesto a due agenti di andargli in soccorso, mentre erano in servizio, perché impantanat­o in ospedale: dice che era con l’auto privata per motivi di lavoro. E per due (presunte) false annotazion­i sui registri dei colloqui. Un’ora, due volte, anziché un’ora e mezza degli incontri tra il procurator­e di Brescia Tommaso Buonanno e il figlio Gianmarco (ora ai domiciliar­i). Ricciardel­li si è giustifica­to così: «Sono troppo buono».

Gli appunti I pm verificher­anno se esiste davvero una sorta di contabilit­à delle «mazzette»

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