Mister Piantù lampi di coraggio e imprese epiche
Bisognava conoscerlo, oltre quella cortina ruvida, quel carattere schivo, quell’espressione finto severa, per capire che razza di mister fosse Oscar Piantoni
( foto). Lui e la panchina erano un tutt’uno, sospeso, impastato in un’eterna nuvola di fumo da dove partivano le saette di occhiate che, dentro come fuori dal campo, non lasciavano scampo a chi le riceveva. Aveva occhi scuri, profondissimi, insondabili mister Piantù. Contrapposti a quel calcio semplice, chiaro che metteva in campo. Un gioco all’italiana per dirla come non si dice più; difesa, perché la prima regola è non prenderle, poi contropiede e poi ancora speriamo che qualcuno la butti dentro. Tatticismi pochissimi in quel tutti avanti e tutti indietro dove si riassumeva l’epicità di certe partite che hanno segnato la storia del calcio bergamasco e di tanti suoi uomini. Le promozioni, certo, restavano le imprese più esaltanti — con l’Alzano dalla D alla C1, l’Albinoleffe per la prima volta in C1, ma contavano le avventure in giro per il mondo. Panchine più o meno fortunate; Alessandria, Monza fino alla Romania con e senza Zenga, ma dove contava sedersi sempre con tutta la serietà del mestiere. Fare calcio, e fare il calciatore significava per lui andare oltre il gesto tecnico, brandire il coraggio della sfida senza mai tradire l’impegno quotidiano. Serietà e fiducia lui, ai suoi, ne elargiva a piene mani, ma pretendeva, esigeva di essere ripagato con la stessa moneta. Il risultato finale, in queste dinamiche di serietà a doppio binario, era incidentale. Te lo spiegava nel dopo partita, finendo la sua trentesima sigaretta di giornata, guardando all’insù, come aveva fatto quel giorno con l’Albinoleffe in ritiro a Bossico. Lo sorpresero che guardava all’insù verso le finestre dell’albergo: «Sto attento che nessuno dei miei mi scappi dalle finestre». In giro, sui campi del calcio provinciale, erano stupiti di non vederlo da un po’. Pochissimi sapevano della malattia, nessuno si sarebbe aspettato di salutarlo per l’ultima volta. Sarà stamattina nella chiesa di Gandino. Certe vite finiscono così, senza i minuti di recupero. Ma, come nel suo caso, resta la bellezza di una partita giocata fino in fondo, senza tatticismi. Come era nel suo stile.