Rifugi sulle Orobie Meraviglie a chilometro zero
Si trovano ad altitudini modeste ma hanno panorami spettacolari e sono di facile vivibilità
Èben rappresentata la provincia di Bergamo nella selezione di oltre 350 rifugi, divisi per aree geografiche, che il Club Alpino Italiano propone in un volume illustrato edito da Solferino di Milano (480 pagine, 18 Euro). Sono infatti quattordici le capanne bergamasche presentate al pubblico con una scheda e con un breve profilo storico, accompagnati dalle informazioni pratiche per raggiungerle. Ma come appaiono in questa grande rassegna i rifugi situati fra le montagne di Bergamo? Naturalmente il confronto con le capanne fra i ghiacciai delle Alpi occidentali da una parte e ai piedi delle grandi pareti dolomitiche dall’altra è tutto in salita. I nostri sono rifugi di ambiente prealpino, che si caratterizzano in primo luogo per le quote più modeste. Di solito sorgono intorno ai 2.000 metri, con qualche eccezione più in alto, come il Benigni (2.222 m), il Tagliaferri (2.328 m), il Brunone (2.295 m). Nessuna struttura tocca comunque i 2.500 e più spesso sono collocate tra i 1.500 e i 2.000 metri. Questo significa due cose. In primo luogo panorami di media montagna, dove il tratto più caratteristico è l’assenza di ghiacciai. Questo non vuol dire che gli scenari manchino di grandiosità. Basta aggirarsi intorno ai rifugi Merelli al Coca, che è solo 1.892 m, al Curò, che ugualmente non arriva ai 2.000, al Fratelli Calvi 2.015, al Tagliaferri, ma anche ai rifugi della Presolana, l’Albani e l’Olmo, anch’essi sotto i 2.000, per trovarsi immersi in severi ambienti di montagna, dove è la roccia a fare da protagonista.
Ma sul piano della frequentazione la bassa quota ha importanti ricadute, che possono risultare strategiche. In sintesi potremmo dire che
La gestione I rifugisti bergamaschi sono molto attenti a utilizzo di energia, emissioni e rifiuti
quelli di Bergamo sono rifugi molto vivibili, cioè sono accessibili a tutti, anche ai bambini, e soprattutto nella maggioranza dei casi, lungo tutto il corso dell’anno. Quando le capanne valdostane o valtellinesi sono sommerse dalla neve, barricate dietro pendii valangosi e accessi interminabili, nella Bergamasca l’escur- sionismo a piedi è più vitale che mai, senza togliere nulla allo scialpinismo e alle ciaspole, che trovano il loro ideale bacino di pratica nelle conche più in quota. Fra le Orobie la montagna rivela il suo volto più amichevole, si offre in quanto terreno ideale di esercizio nella natura: un paradiso dell’escursionismo. Non a caso le alte vie che congiungono questi rifugi sono ogni anno assai frequentate. Ciò non significa sottovalutare queste aspre cime, dove l’espressione «terreno d’avventura» utilizzata dalle guide alpine per indicare percorsi poco addomesticati, lontani dalle falesie dell’arrampicata sportiva, si mostra più valida che mai. Per farsene un’idea si potrebbe cominciare dai dislivelli da superare per raggiungere alcune capanne. Se molte sono gite per la famiglia, altre sono sicuri banchi di prova per un buon allenamento. Provare, per credere, a scarpinare fino al rifugio Merelli al Coca.
C’è un altro aspetto tutt’altro che irrilevante, che potremmo riassumere nella formula «montagne a chilometro zero». Questi rifugi sono vicini a casa e, se non proprio zero, i chilometri non sono mai più di qualche decina. I vantaggi di una tale dislocazione logistica sono evidenti a tutti in tempi di traffico convulso e di crescenti costi carburante.
Infine gli aspetti ambientali. I rifugisti bergamaschi si mostrano di solito attenti all’utilizzo dell’energia, alle acque reflue, alle emissioni in atmosfera e ai rifiuti. L’esempio conta e in tal senso il rifugio può rivelarsi il tramite ideale per trasmettere una corretta cultura della montagna.