«Una firma in bianco e Bellavita ci prese le ville»
Chiesero un prestito di 250 milioni di lire a Gianpaolo Bellavita e si ritrovarono le ville vendute. Un imprenditore di Ghisalba (il fratello è morto), la moglie e la cognata l’hanno raccontato ieri al processo: «Firmammo un foglio in bianco».
«Per favore, non metta ancora i nostri nomi sul giornale o non avremo più il coraggio di uscire di casa». Marito e moglie, e cognata, si vergognano di questa storia vecchia di 19 anni, anche se il processo è ora. Dei 250 milioni di lire che nel 1999 chiesero in prestito a Gianpaolo Bellavita, 60 anni, l’ex assessore provinciale al Bilancio che la Romania non vuole consegnare all’Italia (dove deve scontare un cumulo pena di 10 anni e 11 mesi) prima che lì risolva una questione giudiziaria. Le difficoltà economiche di allora sono ancora un’onta che, da vittime, vorrebbero cancellare.
Secondo il pm Maria Cristina Rota il prestito venne caricato di interessi mensili del 10%. Usura, contesta a Bellavita, alla sorella Stefania, 51 anni, e al ragioniere Lorenzo Sporchia, 66 anni, di Martinengo come loro, che ricevette il mandato a vendere le ville di due fratelli, imprenditori edili di Ghisalba. La storia è così datata che nel frattempo uno è scomparso. Quello rimasto, sua moglie, e la vedova hanno parlato ieri al processo davanti al collegio presieduto dal giudice Antonella Bertoja. Le loro case vennero vendute, ma non lo sapevano, sostengono. Lo scoprirono nel 2011 dalla lettera da una società di Roma che sosteneva di essere la nuova proprietaria.
Lo ammettono: firmarono dei documenti davanti al notaio, anche a casa. «Facevano tutto i mariti», dicono le mogli, che però sono le proprietarie delle abitazioni. Dunque, firmarono anche loro. «Era una carta in bianco, ma anche mio cognato disse: “Firma, è solo una garanzia perché ci hanno dato i soldi, ma tanto li restituiremo, non perderemo nulla”. Ma non serviva a vendere le case». In realtà il mandato era a vendere, sì, ma anche i due fratelli, secondo la ricostruzione delle parti offese, erano certi che non sarebbe stato necessario.
Il tempo trascorso fa inciampare più volte le testimonianze sulla moneta. «Erano 250 mila euro, no scusi erano milioni di lire». Il debito venne saldato «tranne forse 3 o 4 milioni»,dicono. Per loro la faccenda era chiusa lì. Invece arrivò la lettera. Uno choc. A quel punto i proprietari corsero dall’avvocato e dalla Guardia di finanza. I militari del Nucleo tributario ricostruirono tre passaggi. Nel 2003 Sporchia, procuratore speciale, le vendette alla Malba srl, che le cedette ad un’altra società di costruzioni e questa a quella della Capitale. «Ma tutte — è la testimonianza del maresciallo capo Tommaso Fusco — erano riconducibili a Gianpaolo Bellavita e alla sorella. Le conoscevamo per un’altra nostra indagine».
Con l’indagine e una causa civile per far decadere la compravendita, la coppia e la vedova vivono ancora nelle ville. Valgono oltre un miliardo delle vecchie lire. Le costruirono i due fratelli, nel 1978. «Comprammo i terreni con le cambiali», ricorda a margine dell’udienza quello rimasto, che oggi ha 70 anni. L’impresa non c’è più ma nel 1999 lui e il fratello volevano che funzionasse. Invece mancò l’ossigeno. Non si rivolsero alla banche, ma a Bellavita. «Pensare che lo conoscevo bene — ricorda in aula la moglie dell’imprenditore —. Eravamo cresciuti nello stesso cortile, ma quando lo rincontrai mi ero già trasferita a Ghisalba». Dei tre imputati (difesi dagli avvocati Enrico Mastropietro, Benedetto Maria Bonomo e Paolo Casetta) solo Sporchia era presente.
Gianpaolo Bellavita è più un nome, che di tanto in tanto rispunta al ruolo dei processi in tribunale, che un volto. La sua immagine è rimasta ferma alle fotografie di quando, nel 1999, oltre che commercialista con studio sul viale Vittorio Emanuele a Bergamo e a Martinengo, era assessore provinciale al Bilancio. Era sparito dalla circolazione nel novembre 2011. I carabinieri bussarono alla sua porta per notificargli la condanna
Imprenditori edili Due fratelli ricevettero 250 milioni di lire in prestito, secondo il pm con interesse del 10%
a 4 anni e 1 mese per truffa all’Unione europea. Non lo trovarono. Rispuntò nel febbraio dello scorso anno quando, nel frattempo, il cumulo di condanne era salito a più di 10 anni. Scattò il mandato di arresto europeo, Bellavita era in Romania. Non può uscire dai confini, nemmeno essere estradato, per ora.