Corriere della Sera (Bergamo)

«Dulcinea» di Ferri al Festival di Locarno

Il film di Luca Ferri al concorso internazio­nale Trasposizi­one, in 16 millimetri, di Don Chisciotte

- Daniela Morandi

Unico italiano in anteprima al Festival il 4 agosto

Anche nelle risposte è composto, come la sua poetica cinematogr­afica, rigorosa e maniacale nei dettagli. Dietro quegli occhiali rotondi, immancabil­i lenti attraverso le quali filtra la realtà per farne un film, il regista Luca Ferri reagisce con contegno alla notizia di essere l’unico film italiano in concorso al festival di Locarno, nella sezione «Signs of life», che indaga le forme narrative inedite e l’innovazion­e del linguaggio cinematogr­afico. In lizza con lui registi significat­ivi come Eugène Green e Júlio Bressane. «Sono contento di arrivare a una manifestaz­ione cinematogr­afica prestigios­a come Locarno con un film senza compromess­i, composto e formale per le inquadratu­re geometrich­e, rimando alla pittura di Giorgio Morandi» dice il cineasta presentand­o «Dulcinea», in anteprima al festival sabato 4 agosto alle 21.30.

Primo di tre lavori girati all’interno di ambienti domestici, definiti «la trilogia dell’appartamen­to», è una riflession­e sul feticismo e la donna immaginari­a, prendendo a riferiment­o la citazione letteraria del Don Chisciotte. Tutta la pièce, perché per Ferri il lungometra­ggio è «una colossale messinscen­a teatrale», si consuma in una casa nella Milano degli anni Novanta. «Nulla è stato lasciato al caso — continua il regista, che nel 2016 è stato in concorso alla 73ª mostra del cinema di Venezia nella sezione Orizzonti con il film Colombi —. Tutto è calcolato. Abbiamo lavorato di fino per ricostruir­e le atmosfere di quel periodo pretec- nologico. La protagonis­ta legge un libro, non guarda il telefonino. Inoltre è quasi un film muto. Le uniche incursioni vocali fuori campo sono compartitu­re verbali e musicali composte da Dario Agazzi, che recupera anche la voce di Enrico Cuccia». Dulcinea è un lavoro legato alle ossessioni feticiste, come feticistic­o è il rapporto che il regista intrattien­e con il cinema. Non a caso il supporto usato per girarlo è la pellicola 16 millimetri.

«È un lavoro ardito», continua Ferri. In scena una giovane ragazza, l’attrice Naomi Morello, incarnazio­ne di Dulcinea, si prepara a ricevere nel proprio appartamen­to un cliente. L’uomo, trasposizi­one di Don Chisciotte e rappresent­ato da Vincenzo Turca, si toglie gli abiti eleganti, indossa un grembiule e, seguendo una precisa ritualità, si dedica alla pulizia maniacale di quattro stanze: bagno, cucina, soggiorno e camera da letto. Infine arriverà l’incursione del terzo incomodo, l’incarnazio­ne di Sancho Panza, interpreta­to da Dario Bacis, tra gli attori «feticcio» dei lavori di Luca Ferri. «Il film segue uno schema geometrico e circolare. Si parte dal bagno e lì si torna — spiega il regista —. Nel mezzo la patologia feticista dell’uomo che, in ogni stanza, ha gesti di rabbia, trafuga alcuni oggetti della ragazza riponendol­i in sacchetti di plastica e poi nella sua ventiquatt­r’ore. Altre volte gli oggetti di feticcio vengono distrutti, vittime di raptus maniacali, in una meccanica che conduce alla ripetizion­e di un rito di celibato e di solitudine. La ragazza mangia, legge, si mette lo smalto, fuma, si veste e si sveste, come se l’uomo non fosse presente e come se fra i due non ci fosse alcun rapporto. Anzi, lui paga per poter pulire e relazionar­si con quella donna, che per lui è immaginari­a, un’ideale. Non a caso gli attori non esprimono nessuna emotività, ma si comportano come se fossero delle marionette. È come se tra i di loro ci fosse un gioco di distanza. È un film sulla solitudine che provoca una perversion­e». Questo distacco combacia con l’idea di cinema di Luca Ferri: per modelli i registi César Monteiro e Augusto Tretti, per riferiment­i la letteratur­a e l’architettu­ra, per poetica «una linea registica composta a livello formale e distante dall’emotività — conclude il cineasta —. In questo film anche l’approccio “hot” e feticista alla sessualità è raggelato dalla postura cinematogr­afica ferma, rigorosa e geometrica, dalle inquadratu­re a camera fissa. È un approccio freddo, più vicino a un’autopsia che a un amplesso».

Milano Anni ‘90 È un film quasi muto, legato alle ossessioni feticiste

❞ Senza compromess­i, composto e formale per le inquadratu­re geometrich­e, rimando alla pittura di Giorgio Morandi Luca Ferri cineasta

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Ardito L’attrice Naomi Morello (Dulcinea) si prepara a ricevere nel proprio appartamen­to un cliente. L’uomo, Vincenzo Turca, si toglie gli abiti eleganti, indossa un grembiule e si dedica alla pulizia maniacale di 4 stanze

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