«Avevo 16 anni, Titta credette in me»
Cabrini: debito di riconoscenza verso mister Rota. L’addio in nerazzurro a Longuelo
Aveva 14 anni e suo padre non voleva che facesse il calciatore. Antonio Cabrini giocava nella Cremonese e due anni dopo gli si spalancarono le porte della prima squadra. Alla guida c’era Titta Rota, poi 15 stagioni nell’Atalanta tra campo e panchina. La voce di Cabrini si incrina: «Mi ha dato consapevolezza e fiducia nei miei mezzi». Ieri l’addio a Longuelo. Cesare Prandelli debuttò con lui: «Mi sollevò da terra e mi disse: “Vuoi fare o no il calciatore?”. Capii che ci teneva».
Prandelli: a tutti i suoi giocatori ha voluto un gran bene
«Mi dispiace…». La notizia della morte di Titta Rota ha colto di sorpresa Antonio Cabrini: «Avevo perso i contatti da parecchi anni, non avevo più sue notizie da tempo, mi dispiace davvero», ripete, incrinando la voce. Non aveva più notizie del mister bergamasco, i cui funerali sono stati celebrati ieri nella chiesa di Longuelo (tra i presenti l’ex allenatore nerazzurro Giovanni Vavassori, Giacomo Randazzo, Claudio Foscarini e in rappresentanza dell’Atalanta Umberto Marini e Roberto Spagnolo, Gigi Pizzaballa), ma ricordi sì.
Legati agli albori della sua carriera, quando Cabrini non era ancora il bell’Antonio, ma un ragazzino pieno di belle speranze, come se ne possono avere a 14 anni. Suo papà non voleva che facesse il calciatore, e si era pure messo di traverso telefonando al presidente della Cremonese perché lo rispedisse a casa dopo i provini. Ma l’allenatore delle giovanili, Ivanoe Nolli tenne duro, facendolo tornare in campo il giorno dopo.
Due anni e poi gli si spalancarono le porte della prima squadra alla cui guida c’era, appunto, Titta. «Era il campionato di Serie C 1973-74, debuttai sul campo dell’Empoli. Tre presenze in tutto, in quella stagione, ma l’anno dopo avevo il posto di titolare perché Titta aveva creduto fin da subito in me, nonostante fossi un ragazzo. Io in mezzo ad un gruppo di veterani...». Cabrini snocciola i nomi degli allora compagni: «Io ero entrato in prima squadra in punta di piedi, quasi intimidito. C’erano giocatori tutti formati, gente del calibro di Cesini, Novellino, Pianta, Sironi che di calcio giocato ne sapevano tanto. E poi c’era Mondonico, il vero cruccio di Titta Rota». Il Baffo di Rivolta gioca, infatti, l’ultimo scampolo della sua carriera nelle fila della Cremonese (dal 1972 al 1979), anni nei quali è gli ordini di Titta Rota. Oddio, agli ordini è un parolone, conoscendo lo spirito del Mondo. “Di quei tempi non ho aneddoti particolari da raccontare — prosegue Cabrini — ma c’è tutto un capitolo su Mondonico e il suo rapporto con il mister. Il Mondo faceva quello che voleva, lo conoscevate no? Era un tipo poco gestibile. Tutto dipendeva da come arrivava agli allenamenti o il giorno della partita. Se era in una giornata “no”, non c’era niente da fare. Era fatto così, prendere o lasciare e per mister Rota era una gatta da pelare ogni volta. Ma il Mondo versione giocatore era questo, non c’erano alternative». E pare di capire dalle parole di Cabrini, che il mister orobico abbia più volte fatto buon viso a cattivo gioco (purché il Mondo giocasse, perché il suo apporto nelle giornate «sì» era fondamentale). Lo conferma anche Cesare Prandelli che, coetaneo di Cabrini aveva debuttato con Titta Rota in Serie C, sempre nella Cremonese, qualche mese dopo Antonio: «Quella di Titta nei confronti di Mondonico era più una “rabbia”, in considerazione delle grandi potenzialità che aveva e che avrebbe potuto esprimere, ma i rapporti tra di loro furono sempre corretti». «Titta era un tecnico di grandissima umanità, che dava e pretendeva molto. Era esigente», afferma Cabrini. Forse perché considerava il calcio professionistico nella sua vera essenza di professionalità? «Sì, il rapporto era di coerenza perché lui dava tanto, ma riceveva tanto anche dai suoi giocatori. Personalmente posso dire che quell’anno trascorso con lui mi ha fatto crescere. Avevo solo 16 anni e le parole dell’allenatore della prima squadra valevano tantissimo. Con lui ho un debito di riconoscenza, perché lanciandomi così presto, mi ha dato consapevolezza e fiducia nei miei mezzi tecnici». Il primo mister, come il primo amore, non si scorda mai tanto che Prandelli quella scena se la ricorda ancora bene: «Un giorno venne da me, mi sollevò con le mani da terra e mi disse: “allora lo vuoi fare sì o no il giocatore?” Da quel gesto capii quanto teneva a me. A tutti i suoi giocatori ha sempre voluto un gran bene».
❞ Avevo solo 16 anni e le parole dell’allenatore della prima squadra valevano tantissimo. Mi ha dato fiducia e coraggio. Con lui ho un debito di riconoscenza
Un giorno mi sollevò da terra: “Allora, lo vuoi fare sì o no il calciatore?”. Capii quanto teneva a me Cesare Prandelli