Il «codice» dei rapinatori trasfertisti
«Colpire le banche, non i clienti». Incastrati dai brindisi sui social dopo i colpi
Irapinatori trasfertisti dalla Sicilia avevano un «codice deontologico». Rapinavano le banche, non i clienti. E se all’interno c’erano i clienti lasciavano che prima depositassero il denaro, così era assicurato. Ci rimetteva solo l’istituto di credito. Quattro siciliani sono stati colpiti da misura cautelare in carcere per sette assalti. A incastrarli il confronto facciale del Ris, ma anche i loro brindisi su Facebook.
Sei novembre 2015, Urgnano. Nella filiale del Banco di Credito Cooperativo, i carabinieri mandano all’aria una rapina. Piombano subito su Giuseppe Aiello, 37 anni, di Valverde, provincia di Catania, che sta cercando di nascondersi sotto il bancone della reception. A Giacomo Santoro, 34 anni, sempre Catania, arrivano solo dopo aver passato in rassegna i clienti coinvolti nel parapiglia: aveva provato a confondersi tra loro, ma la cera che s’era spalmato sulle mani per eludere i controlli, lo tradisce. I due banditi vengono arrestati, patteggiano e non sanno che l’indagine va avanti. Lo hanno scoperto ora che sono stati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere del gip Bianca Maria Bianchi. Loro e i due presunti complici: Matteo Riso, 26 anni, e Salvatore Pandetta, 25, stesse origini siciliane. Tutti e quattro sono pluripregiudicati, «veri professionisti delle rapine», li definisce il procuratore Walter Mapelli. Santoro era già detenuto a Massa Carrara, Riso e Pandetta ai domiciliari.
Sono sospettati di sei episodi, per complessivi 150 mila euro rubati: alla Banca di Credito Cooperativo Bergamasca e Orobica di Levate il 4 settembre 2015; al Banco di Desio e della Brianza di Brembate il 28 settembre 2015 e di nuovo il 25 novembre 2016 (nel primo caso avevano arraffato 82 mila euro, nell’altro quasi 50 mila); al Banco di Brescia di Bergamo il 5 ottobre 2015 (solo tentata); al Credito Bergamasco di Paladina il 23 ottobre 2015 e poi il 26 settembre 2016 (solo tentate).
A Urgnano i carabinieri partono da un telefonino sequestrato. È un cellulare di vecchia generazione intestato a un prestanome. Il nome «Fuori», in rubrica, corrisponde al complice che fa da «palo». Intercettando e attraverso le comparazioni facciali del Ris con le immagini dei banditi prese dai video degli istituti di credito, dai profili Facebook e dai database delle forze dell’ordine, gli inquirenti iniziano a comporre il mosaico. Ci sono alcuni aspetti che ritornano: colpiscono sempre di venerdì, intorno alle 15, con due a volto scoperto e occhiali da vista e un terzo travisato e armato di taglierino. Prima della fuga rinchiudono tutti in sgabuzzini e hanno una sorta di codice etico: lasciano che i clienti depositino i loro soldi, perché è la banca che vogliono colpire, non la gente comune. I loro telefoni, quelli veri, si spengono in Sicilia due giorni prima delle trasferte con auto noleggiate da parenti. E alla fine, se tutto va bene, non resistono. Sui social si postano con bottiglie di Champagne.