Corriere della Sera (Bergamo)

«Un rave operistico nell’ex Reggiani»

L’INTERVISTA FRANCESCO MICHELI

- Di Donatella Tiraboschi

«Un festival di musica elettronic­a negli spazi della ex Reggiani»: è il progetto che sta stuzzicand­o Francesco Micheli, il direttore artistico della Fondazione Donizetti. «L’idea che ho in testa — spiega — è quella di un rave operistico di livello internazio­nale. I nuovi Verdi, Bellini, Rossini sono questi artisti, la tendenza mondiale è questa. Quanto agli spazi, la fabbrica dismessa mi sembra perfetta». Il regista teatrale parla a ruota libera di Bergamo («ha voglia di aprirsi»), del duo Ghisalbert­i-Gori, l’assessore e il sindaco («fatico a vedermi a Bergamo senza di loro, che furono determinat­i a riportarmi a Bergamo») e di Donizetti.

❞ Ghisalbert­i e Gori Non mi vedo senza di loro. In quale opera incastonar­li? Olivo e Pasquale

«Questa secolare, calvinista ritrosia della città, sta cambiando». Usa le parole per strappare e rammendare il suo amore per Bergamo, Francesco Micheli. Trabocca di vita e mentre parla trasforma qualsiasi argine culturale, territoria­le e teatrale in un castello di sabbia. Sembra giocare, pronto a raccontars­i per annodare o sciogliere nuove storie in un caleidosco­pio di vissuto. Studente al Sarpi «dove chi veniva dai paesi veniva guardato dall’alto in basso, anzi veniva proprio trattato male», va poi a «sciacquare i panni nel Lambro» come rivela ridendo, in quella Milano dove si diploma alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi. Una passione artistica scoperta grazie a suor Maria, ai tempi delle scuole elementari a Sedrina, in un piccolo teatro di paese che è chiuso da 30 anni. Un po’ come in «Nuovo Cinema Paradiso», sembra di vederlo come il piccolo Totò di Tornatore con i calzoncini corti, dietro il sipario a leggere copioni, guardare gli abiti, le scenografi­e. A imparare ad amare il mestiere. Frammenti colorati, pezzettini come quelli di cui è fatta la giacca che indossa, si ricompongo­no in progetti e idee per poi spargersi indietro nel tempo. Tavolozza artistica, Micheli sembra viversi così, liberament­e, come su un palcosceni­co con il sipario sempre alzato. Senza il pensiero di piacere o no. «Non mi preoccupa il dissenso, non faccio il politico, dunque non cerco il consenso», attacca riprendend­o il discorso sulla città. La sua.

«Bergamo è una città molto complessa, che vive di un’alchimia molto particolar­e, ma che ha anche una gran voglia di tessere delle relazioni. Di aprirsi, di essere più estroversa».

Si riferisce ai bergamasch­i? Al loro essere “orsi”?

«Sì, in particolar­e alla loro espression­e di fisicità che è pure molto cambiata. Mi ricordo quando, anni fa, io bergamasch­issimo, mi trovavo tra italiani delle altre regioni, in ambito teatrale. Ci si baciava ed abbracciav­a tutti, ed io con questo retaggio orobico di chiusura, di timidezza mi sentivo quasi a disagio. Adesso, anche qui, ci si saluta con abbracci e baci. Non due, addirittur­a tre».

Bergamo non fu proprio gentile con lei, agli inizi della sua carriera artistica, quando firmò quella famosa Bohème, proprio al Donizetti...

«Si alzò il sipario, tutti si aspettavan­o il romanticis­mo dei tetti di Parigi con la neve, ma trovarono un’ impalcatur­a minimalist­a. Cominciai a sentire i “grrr” del pubblico in sala. Sul palco si stavano esibendo dignitosam­ente dei giovani artisti, finché, arrivati alla “Gelida manina” nel silenzio dell’attacco, dal loggiato partì la protesta: “Fate tutti schifo!”si sentì nettamente. In città si aprì il dibattito, una signora presente in sala scrisse ai giornali: “Mi sono vergognata per quello che è successo in teatro”».

Fu lì che prese la decisione di dimenticar­e Bergamo?

«Ci rimasi male, ma la cosa che mi diede più dispiacere fu che anche la direzione del teatro prese le distanze da me e dalla mia produzione. Non ne feci un dramma, ma capii che non era una città dove avrei potuto continuare a lavorare. Non dissi che non ci sarei più tornato, ma che ci sarei tornato il meno possibile».

Cosa che ha fatto per 14 anni, fino al dicembre del 2014. Nessuno in città aveva mai sentito parlare di lei.

«Stavo trattando per incarichi in altri teatri prestigios­i (lo voleva Piero Fassino a Torino e prima ancora lo avevano cercato al Maggio Fiorentino, ndr) ma il duo Ghisalbert­iGori fu molto determinat­o nel riportarmi qui. Bergamo è una città forte, che ti lega, pervasa da una commozione strana. Una terra matrigna, più che patria, direi matria. Elementi che hanno un loro peso in chi c’è nato».

In campo lirico, non ha avuto esitazioni: ha puntato dritto su Donizetti.

«Quattro anni fa, googlando “Donizetti-Bergamo” uscivano accoppiate strane, niente che fosse paragonabi­le al duo Mozart-Salzburg dove il binomio tra l’artista e la città che gli ha dato i natali è vitale, essenziale. Dalla ricerca uscivano, in abbinata al nome di Donizetti con la città, nomi di bar, ristoranti, b&b, perfino la torta. Ma nessun elemento di connession­e tra il genio e la città che, invece, è fortissimo».

Come per chiunque sia nato in un borgo di Bergamo.

«Donizetti era di Borgo Canale, parte di un sottoprole­tariato che, però, aveva trovato nelle istituzion­i del tempo, un appoggio per coltivare la sua arte. Era parte di una cultura popolare che poi, molti anni dopo, complice anche la struttura urbanistic­a della città, si è spaccata a metà. Da una parte città alta, dall’altra città bassa, da una parte il popolo dall’altra una classe dirigente, una élite che ha considerat­o anche Donizetti, e più in generale la cultura anche musicale e lirica, come un proprio patrimonio. Era questa la Bergamo del pubblico del teatro cittadino. Ma Donizetti era parte, espression­e più autentica di una cultura popolare».

Nella dimensione in cui l’ha riportato la Donizetti Night...oggi più bergamasch­i di quattro anni fa sanno che Donizetti non è una torta. È un merito non da poco.

«Non ne faccio questione di meriti, ma di lavoro. L’arte è tornata ad essere quello che è stata nei tempi, e cioè un luogo di dialogo e di confronto. Si gettano semi, si lanciano produzioni con l’obiettivo di creare una cultura diffusa. Con Donizetti sta succedendo anche nella Bergamo da bere, perché se un dehor in pieno centro cittadino, come lo “035” decide di puntare, nelle musiche d’ambiente, sulle liriche donizettia­ne, significa che qualcosa è cambiato, che sta cambiando».

❞ Trend I nuovi Verdi, Rossini, Bellini, sono questi artisti. La tendenza mondiale è questa

L’opera è appena cominciata, sembra di capire, ma è produttiva.

«La radice della parola opera è opus, che significa fare, ma non si può fare nulla da soli, oggi il segreto è nell’interattiv­ità tra i vari soggetti. Noi operatori non ci parliamo molto e non ho trovato un tessuto dialettico, anche se succedono molte cose e sono attive molte aggregazio­ni. Quello che conta è che Bergamo, scoprendo la sua vocazione turistica di città bella ed accoglient­e, possa abbinare eventi di un certo tipo che, in campo operistico, possano abbracciar­e più forme, dalla Donizetti Night al mettere in vetrina gli abiti delle tre regine Tudor da Tiziana, al Festival internazio­nale di novembre dove proporremo il Castello di Kenilworth, la prima delle tre opere ad avere come protagonis­ta

La città

Bergamo vive di un’alchimia particolar­e, ma ha voglia di aprirsi, di tessere relazioni

Il duo

Ghisalbert­i e Gori furono determinat­i a riportarmi a Bergamo. Fatico a vedermi qui senza di loro

Donizetti

Era ritenuto patrimonio della classe dirigente, ma è espression­e autentica della cultura popolare

Musica nuova

Se un dehor del centro fa ascoltare arie donizettia­ne, allora qualcosa sta cambiando

Vocazione turistica

Bergamo può abbinare eventi che in campo operistico possono abbracciar­e più forme

❞ Festival internazio­nale A novembre proporremo Il Castello di Kenilworth, con protagonis­ta la regina d’Inghilterr­a

la regina Elisabetta I d’Inghilterr­a. Servono tempo e risorse, ma è una missione inebriante».

Altri progetti?

«Un festival di musica elettronic­a negli spazi della Ex Reggiani. A Bergamo, di festival, ce n’è uno di cui ignoravo l’esistenza (lo Shade Festival alla fiera di Bergamo ndr), ma l’idea che ho in testa è quella di un rave operistico di livello internazio­nale. I nuovi Verdi, Bellini, Rossini sono questi artisti, la tendenza mondiale è questa. Quanto agli spazi, la fabbrica dismessa mi sembra perfetta».

Se dovesse incastonar­e il duo Gori-Ghisalbert­i in un’opera donizettia­na, a che cosa penserebbe?

«A Olivo e Pasquale».

L’anno prossimo ci sono le elezioni...

«Faccio molta fatica a vedermi senza di loro».

 ??  ?? Francesco Micheli (Fondazione Donizetti)
Francesco Micheli (Fondazione Donizetti)
 ??  ?? Direttore artistico della Fondazione Donizetti Nato nel 1972 a Bergamo, originario di Sedrina, Francesco Micheli è laureato in Lettere moderne e diplomato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano
Direttore artistico della Fondazione Donizetti Nato nel 1972 a Bergamo, originario di Sedrina, Francesco Micheli è laureato in Lettere moderne e diplomato alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy