Corriere della Sera (Bergamo)

Alessandro, il «sarpino» che ha tutti 10

Classe 2001, di Stezzano, ha finito la 3ªF a pieni voti. «Anch’io fatico a studiare»

- di Donatella Tiraboschi

Latino, greco, matematica. E ancora, da religione a ginnastica. Sul tabellone dei voti del liceo classico Sarpi non si può non notare la linea dei suoi voti. Alessandro Lavelli, 3F, di Stezzano, ha tutti 10. La sua pagella di quest’anno è la fotocopia di quelle dei due precedenti (tranne un 9 una volta). Guai a chiamarlo genio. «L’intelligen­za — dice — non si può misurare con delle tabelle. È frutto di un trasporto emotivo, di passione e di fatica».

Peccato che la simpatia e l’umiltà non siano materie di studio. Perché se lo fossero, accanto al greco, al latino, alla matematica e all’inglese, avrebbe 10 anche in quelle. E così quella riga sul tabellone si potrebbe allungare ancora un po’. Succede così, di scorgere nel mezzo dei quadri di fine anno appesi nelle bacheche del Sarpi, una sfilza di 10 accanto al nome di Alessandro Lavelli, 3ªF (la prima liceo di un tempo). Non un 9, né un 8 tanto che il dito scorre sul vetro, tenendo il segno, a scanso di eventuali traveggole. Tutti 10, da religione a ginnastica, non aiutano a formare l’identikit, a inquadrare nell’immaginari­o, negli stereotipi del genio, questo mirabolant­e sarpino. Di solito chi è bravissimo in italiano non lo è in matematica, e chi sa tutto di Seneca odia andare in palestra. Ma a questo ragazzo di Stezzano, classe 2001, che si presenta in maglietta, calzoncini corti con uno sguardo vivacissim­o dietro gli occhialoni tondi e un sorriso largo, viene bene così. Anzi benissimo, dal momento che il risultato dell’anno appena concluso è la fotocopia dei due precedenti; tutti dieci anche nel vecchio, caro biennio del ginnasio, nella scuola di nomea (e di didattica) più dura di Bergamo (con un piccolo neo di un 9 in una materia, una sola volta).

Alessandro te lo spiega subito, a scanso di equivoci. «Non sono mica un genio», affermazio­ne che rende inutili tutti i test di questo mondo, perché: «L’intelligen­za — afferma — non si può misurare con delle tabelle asettiche. È frutto di un trasporto emotivo, di passione e di fatica. E studiare costa fatica anche a me, come a tutti. Non è vero che si impara senza faticare». Ma allora il segreto quale è? «Ci vuole amore in tutte le cose che si fanno». Quell’«amor che move il sole e l’altre stelle» che intendeva Dante? Gli occhi di Alessandro si illuminano. Al Paradiso ci arriverà nell’ultimo anno, ma in quello appena concluso già l’Inferno lo ha entusiasma­to. Ha viaggiato con il Poeta. «Ti insegna a gerarchizz­are, a razionaliz­zare, il suo viaggio nell’aldilà è in una dimensione verticale tesa a rifuggire quelli che Dante chiama gli splendori mondani, per dedicarsi alla ricerca dei veri valori della vita». Che per Alessandro vedono le relazioni umane al primo posto: «A crederci mi ha aiutato la mia famiglia». Normalissi­ma: mamma Daniela è medico(profession­e che intriga parecchio Alessandro), papà Stefano lavora in Ubi Banca e poi c’è il fratellino Andrea, pure parecchio sveglio. In quei rapporti umani da coltivare, ci sono gli amici come è giusto che sia per chi ha 17 anni e trascorre anche qualche serata al pub e nel tempo libero studia pianoforte.

E c’è posto anche per i compagni di classe, in una dinamica della conoscenza e dello studio che Alessandro definisce «fluida». Questo significa che i risultati scolastici vengono in secondo piano («lo scopo dello studio non è allevare burocrati») e che, anzi, agevolano proprio la socializza­zione perché Alessandro è tutt’altro che «egoista». Sì, insomma, è uno che «passa» e mentre lo dice guarda la sua prof di italiano Paola Missale ( foto sopra), che lo scorso anno quando insegnava latino gli ha, perfino, ceduto la cattedra. «Si era classifica­to secondo ad un certamen su Plinio — racconta la prof — che gli era costato un mese di lavoro approfondi­to. Così l’ho invitato a spiegare il lavoro ai compagni: oggi sali in cattedra tu, l’ho invitato. Ma lui ha declinato l’invito restando al suo posto». «Non avrei potuto mai farlo, mi sarei sentito come Narciso che si specchia alla lavagna»,

«Sali in cattedra» La sua prof glielo chiese dopo essere arrivato 2°a un certamen. Ma lui rifiutò

scherza Alessandro che, da un punto di vista didattico e scolastico, è un faro per tutto il corpo docente. «Quando prepariamo le lezioni, pensiamo a lui come alla punta di un iceberg, alla sua curiosità e sete di sapere che funge da traino anche per gli altri — ragiona Missale —. Il bello è proprio questo, perché Alessandro non è individual­ista, non è un’isola ma è perfettame­nte integrato e funge da stimolo per tutti, anche per i professori». Ne sa qualcosa il professor Pierangelo Agazzi, ora in pensione («gli devo moltissimo», riconosce Alessandro) con il quale è in atto una sorta di enigma linguistic­o sul valore aspettuale dell’imperativo aoristo. «Vedremo che cosa ci dirai quando lo avrai risolto», lo ha rimbeccato il prof. Ora, ci piacerebbe pure spiegare di che cosa si tratta. Ma è davvero greco. In tutti i sensi.

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Tempo libero Alessandro Lavelli, 17 anni, trascorre qualche serata al pub e studia pianoforte
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