Corriere della Sera (Bergamo)

I GIUDICI E SALOMONE

- Di Armando Di Landro

Èstraziant­e l’immagine di quella mamma appostata fuori da un oratorio per osservare, anche solo per cinque minuti, il figlio naturale che sta rientrando a casa della famiglia adottiva. È suo figlio, ma non lo è più: l’ha smarrito nel suo percorso di vita, per una serie di gravi problemi. Ha scoperto dove abita, anche se non doveva farlo, e si ritrova imputata per stalking insieme al marito, papà naturale. Il principio cardine delle norme in materia è chiaro: è la tutela del piccolo a prevalere su ogni altro diritto, esigenza o sentimento. E i gesti ripetuti che rischiano di turbare quella tutela configuran­o un reato penale, secondo la procura di Bergamo. Ma non sempre la chiarezza delle leggi, del codice penale o delle procedure, possono garantire scelte facili e lineari: il caso specifico ne è un esempio. Revocando la misura cautelare del divieto di avviciname­nto per i due genitori naturali il giudice dell’udienza preliminar­e Vito Di Vita ha definito «non biasimevol­e» il loro desiderio di rivedere il bambino. Parole che rischiano di anticipare la sentenza, secondo il pm, che ha ricusato il gup. Sono i meccanismi previsti dalla giustizia, che è fatta però di uomini e donne, di persone che come tutte le altre fuori dal palazzo e dalle sue aule, possono restare colpite dall’immagine di quella mamma vicino all’oratorio o da altre implicazio­ni complesse di una vicenda simile. È il fattore umano della giustizia. Non sempre una decisione può essere giusta in assoluto, ma decidere, per un giudice, è obbligator­io. E Salomone non può venire in aiuto.

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