I GIUDICI E SALOMONE
Èstraziante l’immagine di quella mamma appostata fuori da un oratorio per osservare, anche solo per cinque minuti, il figlio naturale che sta rientrando a casa della famiglia adottiva. È suo figlio, ma non lo è più: l’ha smarrito nel suo percorso di vita, per una serie di gravi problemi. Ha scoperto dove abita, anche se non doveva farlo, e si ritrova imputata per stalking insieme al marito, papà naturale. Il principio cardine delle norme in materia è chiaro: è la tutela del piccolo a prevalere su ogni altro diritto, esigenza o sentimento. E i gesti ripetuti che rischiano di turbare quella tutela configurano un reato penale, secondo la procura di Bergamo. Ma non sempre la chiarezza delle leggi, del codice penale o delle procedure, possono garantire scelte facili e lineari: il caso specifico ne è un esempio. Revocando la misura cautelare del divieto di avvicinamento per i due genitori naturali il giudice dell’udienza preliminare Vito Di Vita ha definito «non biasimevole» il loro desiderio di rivedere il bambino. Parole che rischiano di anticipare la sentenza, secondo il pm, che ha ricusato il gup. Sono i meccanismi previsti dalla giustizia, che è fatta però di uomini e donne, di persone che come tutte le altre fuori dal palazzo e dalle sue aule, possono restare colpite dall’immagine di quella mamma vicino all’oratorio o da altre implicazioni complesse di una vicenda simile. È il fattore umano della giustizia. Non sempre una decisione può essere giusta in assoluto, ma decidere, per un giudice, è obbligatorio. E Salomone non può venire in aiuto.