Libero il medico del carcere Può lavorare solo in privato
Stop ai domiciliari. Interdizione di 7 mesi nel pubblico
Il direttore sanitario del carcere Francesco Bertè, 59 anni, origini calabresi e di casa a Ponteranica, da ieri mattina è di nuovo libero. Il giudice delle indagini preliminari Lucia Graziosi ha revocato gli arresti domiciliari disposti all’inizio di giugno per falso ideologico e abuso d’ufficio, su istanza degli avvocati Rocco Lombardo ed Emilio Tanfulla (che il 27 luglio hanno integrato la memoria difensiva del loro assistito). La misura cautelare era stata firmata dal gip l’8 giugno nell’ambito dell’inchiesta in cui il principale indagato è l’ex direttore del carcere di via Gleno (in pensione dall’1 giugno) Antonino Porcino, che per oltre un mese è stato in carcere e ora è agli arresti domiciliari.
Niente più misura restrittiva, dunque, Bertè è libero, ma per sette mesi è interdetto dal lavoro in strutture carcerarie e sanitarie pubbliche. Che in sostanza, per lui, significa la rinuncia al lavoro in via Gleno. Potrà tranquillamente proseguire, invece, la sua attività privata, come dentista.
«Alla luce delle condotte
Le contestazioni Accusato di falso e abuso d’ufficio nell’inchiesta sull’ex direttore Porcino
dell’indagato, la misura interdittiva può ritenersi proporzionata e idonea», scrive il gip che riconosce anche «l’efficacia deterrente» dei domiciliari a cui il dottore era rimasto fino a ieri, in relazione al pericolo di reiterazione del reato. Ha parlato, di nuovo, Bertè, venerdì della scorsa settimana, dopo un primo interrogatorio, ai due pubblici ministeri Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio, che allora avevano dato parere negativo alla liberazione. Stavolta invece è arrivato quello positivo.
L’accusa di falso ideologico riguardava una relazione redatta dal direttore sanitario del carcere per attestare che il direttore Porcino era affetto da una sindrome ansioso-depressiva, documento che poteva aver tratto in inganno (insieme ad altri non firmati da Bertè) la commissione medica ospedaliera di Milano, fino all’esonero di Porcino per 205 giorni dal lavoro. Un episodio, quello della relazione, che il direttore sanitario non nega: ma a sua difesa specifica comunque che non era certo lui a poter certificare la malattia. L’abuso d’ufficio riguarda invece l’assunzione della dottoressa Emanuela Nesci nell’infermeria della casa circondariale. Su questo punto specifico i due legali di Bertè hanno prodotto due e-mail con cui il medico chiedeva aiuto per carenza di organico. La prima era stata inviata all’ordine dei medici e poi inoltrata alla direzione dell’Azienda socio sanitaria Territoriale Papa Giovanni XXIII.
Proseguono, intanto, le indagini dei due pubblici ministeri su Antonino Porcino, al di là dei singoli episodi contestati nell’ordinanza dell’8 giugno.