Sarajevo-Atalanta Una partita che va oltre il calcio
Una città ancora ferita dalla guerra che spera nel miracolo sportivo Il blasone e il passato da recuperare Sarajevo-Atalanta vista dai bosniaci
A Sarajevo ci credono. Credono nella possibilità di conquistare il terzo turno preliminare di Europa League. A spiegare lo spirito, non solo di una squadra, ma di un’intera città, è un giornalista sportivo della Capitale bosniaca che ha chiesto di rimanere anonimo. Un altro segno, forse, di quanto conti questa partita.
L’Fk ci spera, soprattutto, dopo il 2-2 strappato settimana scorsa a Reggio Emilia in una gara di sacrificio, l’unica che poteva mettere in pratica l’undici di Musemic. Tutti gli uomini dietro la linea della palla, chiusi in un bunker e pronti a cercare di fare male in contropiede. Una tattica preannunciata dall’allenatore alla vigilia e che, nella stragrande maggioranza dei casi, permette, soprattutto quando la differenza tecnica è così marcata, di perdere con uno scarto accettabile. Invece è maturato un pareggio per 2-2 che, in pratica, mette a disposizione del Sarajevo due risultati utili su tre. E, di conseguenza, l’Atalanta deve centrare la vittoria per passare.
L’Fk Sarajevo e i tifosi vogliono sfruttare l’occasione per dare un senso a un blasone che, dopo la guerra, e la divisione dell’ex Jugoslavia, ha perso di lucentezza. «L’aver costretto al pareggio una squadra di Serie A, dove giocano un sacco di stelle — spiega il cronista di Radio Sarajevo — è stato sorprendente. La società ha una storia, che riguarda gli scorsi decenni. Qui ancora si ricordano l’eliminazione di misura patita dal Manchester United nel 1967 (0-0 in casa e ko 2-1 in Inghilterra, ndr), la stessa formazione che in quella edizione trionfò nella competizione. Oppure l’altra sconfitta a testa alta (3-3 e 4-2) con l’Amburgo nel 1980 in Coppa Uefa. I tedeschi l’anno prima erano arrivati in finale di Coppa Campioni e in quello successivo la vinsero».
Il calcio, inoltre, è un modo per continuare a lasciarsi alle spalle un conflitto che, a distanza di oltre vent’anni, è ancora tatuato sulla pelle degli abitanti. «Sarajevo è stata sotto assedio per quattro anni, il Paese era in guerra e tutt’oggi stiamo cercando di recuperare ciò che abbiamo perso in quel periodo».
Non sarà possibile, invece, recuperare la Jugoslavia. «Dopo la sua dissoluzione tutto è cambiato, anche nel football. Il nostro campionato è piccolo e ha poco mercato. È anche per questo che il risultato con l’Atalanta è stato stupefacente».
Tra i tifosi, gli stessi che contribuirono a salvare dalla bancarotta il club cinque anni fa prodigandosi per cercare un investitore, il malese Vincent Tan, attuale proprietario dello società, c’è adrenalina. Allo stadio Olimpico Kosevo, che ha ospitato la cerimonia di apertura e chiusura delle Olimpiadi invernali del 1984, quelle del trionfo di Paoletta Magoni, ci si aspetta un’affluenza di oltre 20 mila persone, compresi i 250 bergamaschi temerari che decideranno di affrontare una trasferta al limite dell’impossibile: 22 ore di viaggio in pullman o in auto tra l’andata e ritorno. Dalle parole del cronista c’è un’intera città in fermento. «Una settimana prima del Film Festival, è come se stessimo vivendo un festival del calcio. Tutti siamo consci che l’Atalanta rimane la grande favorita per il passaggio del turno, ma tutti sperano nel miracolo».