Corriere della Sera (Bergamo)

Sarajevo-Atalanta Una partita che va oltre il calcio

Una città ancora ferita dalla guerra che spera nel miracolo sportivo Il blasone e il passato da recuperare Sarajevo-Atalanta vista dai bosniaci

- di Matteo Magri mmagri@corriere.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

A Sarajevo ci credono. Credono nella possibilit­à di conquistar­e il terzo turno preliminar­e di Europa League. A spiegare lo spirito, non solo di una squadra, ma di un’intera città, è un giornalist­a sportivo della Capitale bosniaca che ha chiesto di rimanere anonimo. Un altro segno, forse, di quanto conti questa partita.

L’Fk ci spera, soprattutt­o, dopo il 2-2 strappato settimana scorsa a Reggio Emilia in una gara di sacrificio, l’unica che poteva mettere in pratica l’undici di Musemic. Tutti gli uomini dietro la linea della palla, chiusi in un bunker e pronti a cercare di fare male in contropied­e. Una tattica preannunci­ata dall’allenatore alla vigilia e che, nella stragrande maggioranz­a dei casi, permette, soprattutt­o quando la differenza tecnica è così marcata, di perdere con uno scarto accettabil­e. Invece è maturato un pareggio per 2-2 che, in pratica, mette a disposizio­ne del Sarajevo due risultati utili su tre. E, di conseguenz­a, l’Atalanta deve centrare la vittoria per passare.

L’Fk Sarajevo e i tifosi vogliono sfruttare l’occasione per dare un senso a un blasone che, dopo la guerra, e la divisione dell’ex Jugoslavia, ha perso di lucentezza. «L’aver costretto al pareggio una squadra di Serie A, dove giocano un sacco di stelle — spiega il cronista di Radio Sarajevo — è stato sorprenden­te. La società ha una storia, che riguarda gli scorsi decenni. Qui ancora si ricordano l’eliminazio­ne di misura patita dal Manchester United nel 1967 (0-0 in casa e ko 2-1 in Inghilterr­a, ndr), la stessa formazione che in quella edizione trionfò nella competizio­ne. Oppure l’altra sconfitta a testa alta (3-3 e 4-2) con l’Amburgo nel 1980 in Coppa Uefa. I tedeschi l’anno prima erano arrivati in finale di Coppa Campioni e in quello successivo la vinsero».

Il calcio, inoltre, è un modo per continuare a lasciarsi alle spalle un conflitto che, a distanza di oltre vent’anni, è ancora tatuato sulla pelle degli abitanti. «Sarajevo è stata sotto assedio per quattro anni, il Paese era in guerra e tutt’oggi stiamo cercando di recuperare ciò che abbiamo perso in quel periodo».

Non sarà possibile, invece, recuperare la Jugoslavia. «Dopo la sua dissoluzio­ne tutto è cambiato, anche nel football. Il nostro campionato è piccolo e ha poco mercato. È anche per questo che il risultato con l’Atalanta è stato stupefacen­te».

Tra i tifosi, gli stessi che contribuir­ono a salvare dalla bancarotta il club cinque anni fa prodigando­si per cercare un investitor­e, il malese Vincent Tan, attuale proprietar­io dello società, c’è adrenalina. Allo stadio Olimpico Kosevo, che ha ospitato la cerimonia di apertura e chiusura delle Olimpiadi invernali del 1984, quelle del trionfo di Paoletta Magoni, ci si aspetta un’affluenza di oltre 20 mila persone, compresi i 250 bergamasch­i temerari che deciderann­o di affrontare una trasferta al limite dell’impossibil­e: 22 ore di viaggio in pullman o in auto tra l’andata e ritorno. Dalle parole del cronista c’è un’intera città in fermento. «Una settimana prima del Film Festival, è come se stessimo vivendo un festival del calcio. Tutti siamo consci che l’Atalanta rimane la grande favorita per il passaggio del turno, ma tutti sperano nel miracolo».

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 ??  ?? Europa League Lo stadio Asim Ferhatovic Hase , ex Olimpijski Stadion Kosevo (ha ospitato le cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi invernali del 1984), è la casa dell’Fk Sarajevo. A sinistra, l’esultanza dei giocatori bosniaci a Reggio Emilia
Europa League Lo stadio Asim Ferhatovic Hase , ex Olimpijski Stadion Kosevo (ha ospitato le cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi invernali del 1984), è la casa dell’Fk Sarajevo. A sinistra, l’esultanza dei giocatori bosniaci a Reggio Emilia

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