Corriere della Sera (Bergamo)

I CONFINI IN CASCINA

- Di Davide Ferrario

Ci sono storie vere che sembrano scritte da uno sceneggiat­ore di commedie all’italiana. Una si sta svolgendo a Casirate d’Adda, frazione Malossa. Lì, fin dai primi del Novecento, la famiglia Mavero vive lavorando la terra e allevando animali. Una dozzina di anni fa, approfitta­ndo del Pgt che, pieno di buone intenzioni, punta a ripopolare le campagne, una coppia compra un pezzo della cascina Malossa, ci va a vivere e ci installa anche un bed&breakfast. Ma in questa avventura imprendito­riale non si applica la celebre regola «pecunia non olet». Infatti, mentre il maiale sotto forma di salame nostrano a km zero è graditissi­mo ai clienti, lo stesso animale, sotto forma di essere vivente e olezzante, pone un serio problema alle narici degli ospiti. E così pure capre e galline. A questo punto si adiscono le vie legali. Il Comune sancisce che i Mavero possono restare, ma gli animali se ne devono andare. «E dove li mettiamo?», si chiedono i proprietar­i. E qua si apre anche l’appendice animalista della questione. Che finisce, a causa di un corto circuito di competenze, nientemeno che sul tavolo del presidente della Repubblica. Il quale passerà dai molti problemi internazio­nali che ha per le mani anche a dirimere quel che succede sull’aia di Casirate. La storia propone anche un’istruttiva morale a proposito del popolare slogan «Padroni a casa nostra». Dove si tirano i confini di casa propria? Può essere il naso a stabilire un confine? O forse le case, come le patrie, sono un concetto più mobile dei muri che le delimitano?

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