MERCATI, NESSUN RICATTO
Imercati finanziari non «complottano» contro il governo italiano. «Non siamo ricattabili», dichiara il vice premier, capo politico del M5S. Invero i mercati finanziari sono ben lungi dal volere ricattare il governo italiano. Indicano solo a quale rendimento l’offerta di titoli del debito italiano può trovare domanda corrispondente.
Così come danno indicazioni di rendimento per le Assicurazioni Generali e Ubi. Se tale prezzo non fosse coerente con la tenuta dei conti pubblici, sarà un problema di scelte politiche, ma non di complotti o di ricatti. Il ricatto suonerebbe: non sottoscrivo nessun titolo se il governo non si dimette; ma i mercati dicono solo: compro titoli italiani purché rendano il tot per cento.
Se il governo crederà che i risparmiatori e gli investitori italiani, in virtù di preferenze elettorali nazionalistiche, accetteranno di sostenerne il programma di politica economica a rendimenti inferiori a quelli di mercato, sbaglierà di grosso, giacché nessuno compra a 100 ciò che nel contempo si può vendere solo a 80. I risparmiatori e gli investitori chiedono di supportare le scelte di governo a certi rendimenti del debito: sono il mercato. Non esercitano ricatti. Il problema è di valutare se si può fare assegnamento solo sull’interno o bisogna non rinunciare anche a risparmiatori e investitori esteri. Penso la seconda alternativa come maggiormente plausibile.
E i non italiani non intendono esprimere un giudizio sul programma di governo italiano, ma semplicemente una valutazione di domanda di rendimento, tenuto conto del contesto geo-economico e geo-politico mondiale e del fatto che l’Italia è un Paese con rilevante —forse eccessivo — debito pubblico.
Si deve perciò ragionare, rifiutando slogan e frasi ad effetto. E si deve precisare che il contratto di governo è un programma di legislatura. Da sempre sappiamo che chi troppo vuole (subito) nulla stringe, e non a motivo di complotti e ricatti. La credibilità si perde se si vuole concretare in cinque mesi ciò che riguarda un arco di cinque anni, incolpando chi trova più realistico andare piano e lontano, pur se ciò significa seguire ancora, per qualche tratto, la via precedente. L’importante è fissare un traguardo, e dimostrare che a quello si tende. Insomma, la fretta è sempre cattiva consigliera e le esperienze in atto non sono sempre tutte da buttare subito. Altrimenti si rende più fragile tutto il sistema del risparmio e degli investimenti, che non complotta né ricatta, ma chiede di essere riconosciuto come vantaggioso e necessario. La fretta di affermare il nuovo, il cosiddetto cambiamento, può poi solo aumentare i rischi delle banche. E ciò è dannoso per le controparti: creditori e debitori. Infine, risparmiatori e investitori. Appunto: il mercato.