«Pari opportunità, si dica avvocata»
Il peso dei termini nel protocollo anti discriminazioni di Ordine, Procura e Tribunale
Èun consiglio, non un obbligo. Ma è anche il segno che il tema sia dibattuto. Nel protocollo d’intesa tra avvocati, Procura e tribunale sulla parità si parla anche di terminologia da usare nelle aule e negli atti. Per esempio «egregia avvocata». Non è il solo concetto: si citano anche religione, orientamenti sessuali, età, provenienza etnica, maternità, disabilità. Il presidente dell’Ordine: «Conta la sostanza».
Sono parole, solo forma o anche sostanza a seconda delle opinioni. Come «egregia avvocata» entrate a titolo d’esempio nel protocollo d’intesa tra avvocati, procura e tribunale di Bergamo. Non è il solo argomento, il principio del documento è «diffondere e valorizzare la cultura di parità nell’esercizio della professione forense» e «attivarsi per la promozione di una cultura della differenza che non generi disuguaglianze».
Genere, età, origine etnica, orientamento sessuale, religione, convinzioni personali: se n’è parlato, a luglio, in occasione della firma. Ma leggendo il documento, in questa cornice colpisce l’attenzione ai termini: «Giudici, avvocati e personale di cancelleria adotteranno formulazioni linguistiche che non escludano o discriminino le persone di un sesso rispetto a quelle dell’altro». Il «genere grammaticale appropriato» si intende per entrambi i sessi, ma l’esempio non è a caso.
È un suggerimento, dipende dalle scelte personali: «Nelle lettere o comunicazioni varie anche via mail indirizzate ad una persona specifica, in un verbale di causa e, in generale, in tutti i casi in cui si deve apporre una firma con indicato il ruolo e la funzione di chi firma, sarà consigliato utilizzare il genere grammaticale, maschile o femminile, corrispondente al genere della persona alla quale si fa riferimento (ad esempio: egregia
avvocata)». Se i destinatari sono un uomo e una donna «il genere femminile dovrà essere reso visibile e distinto da quello maschile». Avvocato e donna. Donna e avvocato. In questo protocollo devono stare insieme. Perché tra gli impegni presi c’è anche quello che giudice, avvocati, persoratore
nale di cancelleria «ricorreranno ad un linguaggio consono, non “sconveniente”, ossia un linguaggio, ancorché non direttamente offensivo, potenzialmente idoneo a svilire il ruolo professionale o istituzionale dell’interlocutore/interlocutrice». Si parla sempre in termini maschile o
femminile, ma l’esempio per dire che cosa non usare ancora una volta non è a caso: «l’appellativo “signora” rivolgendosi a un avvocato donna, così privandola del titolo di avvocato». Il presidente dell’ordine degli avvocati, Ermanno Baldassarre, parla di «iniziativa molto positiva, in linea di principio, per la parità. Per quanto riguarda gli aspetti più specifici, questi sono legati alla sensibilità di ciascuno». Allora, avvocato o avvocata? «Conta la sostanza, ma va fatto salvo il pensiero altrui. L’importante è che nelle aule e negli studi ci sia il rispetto reciproco e che tutti siano uguali». Ha firmato il protocollo insieme al procu- Walter Mapelli, al presidente del tribunale Cesare De Sapia, e al presidente del comitato pari opportunità dell’ordine degli avvocati Stefano Chinotti.
Che ci sia dibattito, lo confermano le due pagine sulla rivista «Diritto e Rovescio» dell’Associazione provinciale forense. «AvvocatO» è il titolo dell’intervento di Simona Mazzocchi. «Non mi sento sminuita o inferiore se la professione che pratico ha un nome maschile». Cita lavori più umili, per dire che, per esempio, «nessuno si pone il problema della donna muratore. Cosa dovrebbe essere muratrice? Siamo noi quindi ora a discriminare». Cita la Cortellesi: «Sono solo parole, diverso se fossero pensieri, quelli si sarebbero pericolosi». «AvvocatA», firma invece Barbara Carsana. Cita il mondo dello sport. «Se solo avessi avuto uno straccio di talento non avrei mai fatto l’avvocata, ma il ginnasta. Con i miei colleghi sportivi mi sarei intesa subito, senza troppe parole. Invece nel mondo in cui vivo, declinare al femminile la mia professione suscita nei più reazioni che vanno dallo scherno al rifiuto. Dalle donne poi si raccoglie una sonora indignazione». E fa presente che «il linguaggio cambia con l’uso e con il tempo, che è proprio di chi lo parla». Avvocati (e), donne, mamme. Perché «i magistrati — è sempre il protocollo —, nel fissare le udienze e predisporre i rinvii, terranno in considerazione lo stato di gravidanza dell’avvocata». L’allattamento sarà «possibile motivo di rinvio del processo a orario specifico».
❞ Verbali e comunicazioni Se ci si rivolge a più persone, il genere femminile dovrà essere distinto dal maschile
❞ Le indicazioni Si eviti un linguaggio “sconveniente” come “signora” rivolgendosi a un avvocato donna
❞ I termini sono legati alla sensibilità di ciascuno: conta la sostanza, che nei tribunali e negli studi legali ci sia il rispetto reciproco e siano tutti uguali Ermanno Baldassarre Presidente avvocati