I dolomitici «crucchissimi» da esportare
Nel 2009 i parrucconi dell’Unesco hanno dichiarato le Dolomiti patrimonio dell’umanità. Non ho parrucche nell’armadio, ma fossi stato in lor signori avrei allargato il riconoscimento ai dolomitici che le abitano. Sono crucchissimi. Girando però nelle loro vallate mi rendo conto di quanta della bellezza che scorre davanti agli occhi vada ascritta anche a loro. Sono stati bravi in tutto, anche per quel che non hanno fatto. Hanno capito prima ancora dell’Unesco d’essere depositari di un patrimonio e invece che giocarselo a Monopoli e incasinarlo di seconde case hanno cercato di proteggerlo. Sono stati bravi anche per quello che hanno fatto. Servizi. Collegamenti. Reti. Strade, sentieri, rifugi, impianti di risalita. Oggi chi arriva da tutto il mondo per ammirare le Dolomiti se le trova servite sul piatto d’argento. Con menù à la carte. Come vuoi andarci? Sci, bici, a spasso col passeggino o in volo col parapendio? Vuoi passare la giornata a sfondarti le gambe sui ghiaioni del Sassolungo? O il Sassolungo vuoi ammirarlo dalle acque di un centro benessere, mentre t’ingozzi di strudel, ti sbalordisci di grappa alla pera e ingrassi come un proconsole romano? Puoi fare quello che vuoi. Unico limite è che le Dolomiti saranno anche patrimonio di tutti ma in quanto montagne rimangono dove sono. I loro abitanti invece no e se allargassimo il riconoscimento dell’Unesco anche a loro, li investiremmo del dovere morale di sistemare un po’ di cosucce anche da noi. Ne vedrei bene un paio a Trenord e un battaglione all’Atac di Roma. Se ne avanza uno finisce dritto su a Foppolo.