Il mondo e l’elastico Alla riscoperta dei vecchi giochi
«Uno, due...» e al «tre» sarà come fare un salto indietro nel tempo. Al parco di via Codussi, in città, sono iniziati i lavori per riqualificare l’area verde e inserire nuove strutture. Oltre alle porte di calcio e alle reti di pallavolo, saranno disegnati sul terreno le caselle necessarie perché i bambini di oggi si possano divertire con i giochi di ieri, come il gioco dell’oca o la morra saltata. E se tutti, bene o male, sanno che cosa sia il primo, qualche bimbo potrebbe avere qualche dubbio sulla seconda.
La morra saltata aveva lo stesso obiettivo della morra cinese, con una differenza. Non si usavano le dita. I simboli di «carta», «forbice» e «sasso» erano disegnati a terra, disposti ai vertici di un immaginario triangolo. I bambini si disponevano al centro e, all’«Uno, due… tre!», dovevano sceglierne uno. E saltarci sopra.
A vederli, non appena il parco sarà ultimato, a metà settembre, sembrerà di tornare al tempo dei loro genitori o dei nonni. Quando si giocava anche a «lippa», che qui in Bergamasca si chiamava «ciàncol». Bastavano due bastoni, spesso ricavati da manici di scopa. Si doveva colpire l’uno con l’altro, per farlo volare il più lontano possibile, o al di fuori di un cerchio tracciato sul terreno, o per afferrarlo al volo.
Il gioco più diffuso, però, nei cortili, nelle cascine e lungo le sponde dei fiumi, erano sicuramente le biglie. Inizialmente di argilla o ceramica dipinta, venivano fatte scontrare, tirate a turno, con l’indice e il pollice, su percorsi costruiti apposta con sabbia, terra o altri materiali. Erano così utilizzate che spesso perdevano il colore. Più avanti, negli anni ‘50, sono arrivate anche in vetro, ma l’attività rimaneva la stessa: le biglie si potevano scambiare o chi vinceva la gara portava a casa quelle degli altri. Ma il giorno dopo si ricominciava.
E che dire, poi, dell’elastico? Era il preferito delle bambine. Una di loro doveva eseguire salti e giravolte sempre pestando, a ogni movimento, un elastico tenuto teso prima tra le caviglie di due amiche, poi — a difficoltà crescente — tra le loro ginocchia e infine sulle anche. Lo stesso principio si seguiva per giocare con la corda, che due bimbe tenevano all’estremità, facendola girare, e la terza, in centro, doveva saltarla senza toccarla.
Indimenticabile «mondo». Consisteva nel disegnare a terra, con il gesso, tante caselle quadrate, collegate tra loro. All’inizio, un bambino lanciava un sasso, o un coccio di porcellana, sul disegno, e doveva recuperarlo facendo dei salti tra le caselle.
Chi amava il movimento, guidava una ruota di bicicletta con un bastone, lanciandosi in corse sfrenate per il paese e la campagna. L’importante era arrivare primi alla meta, senza far cadere la ruota lungo la strada (o, se si perdeva, recuperarla in tutta fretta e rimettersi in viaggio).
Inoltre, i più battaglieri giocavano a «canète», costruendo cerbottane con dei piccoli tubi di plastica e mettendo all’interno proiettili di carta (meno pericolosi di altri oggetti). C’era chi — particolarmente ingegnoso — era capace di unire diversi tubi e creare una «mitragliatrice».
Però, anche quando, nel parco di via Codussi, torneranno i giochi d’altri tempi, ce ne sarà sempre uno che non è mai passato di moda. Continueremo a trovare, oggi come allora, bambini nascosti dietro alberi e altalene, pronti a scattare verso la meta. Tana libera tutti.