«Il maxi-tubo soluzione persa: quei 70 milioni furono buttati»
Il «peccato originale» nell’infinita guerra alle piene del Seveso, Gabriele Albertini, per quasi un decennio sindaco di Milano, sa con esattezza indicare qual è, quando è stato commesso e da chi. «Il guaio fu quando Letizia Moratti decise di cancellare il nostro progetto».
Di che cosa si trattava?
«Era un tubo sotterraneo che portava l’acqua da Niguarda a oltre il Ponte Seveso». Il progetto definitivo risale al 2004: un’opera lunga undici chilometri che correva sottoterra per scaricare fuori città la furia del fiume e allo stesso tempo tenere sotto controllo costantemente il livello della falda».
Nel 2009, però, il sindaco Moratti decise di eliminarlo dal piano triennale delle opere pubbliche.
«Per me fu una delusione, e per la città un disastro. Era tutto pronto. C’erano i settanta milioni di euro necessari. Ma quei fondi finirono tra i 335 milioni che quella giunta decise di usare per ricomprare le obbligazioni di Aem per avere la parità azionaria con Brescia in A2a. Fu un errore di priorità che portò poi anche ai ritardi sulle linee metropolitane M4 e M5. Si preferì un’operazione finanziaria a un’opera pubblica. Ma il sindaco non è un gestore di holding, è il responsabile di una grande impresa di servizi. Lo dico senza acrimonia: per evitare che interi quartieri diventino periodicamente pezzi di Venezia con l’acqua alta serve saggezza amministrativa. E poi era un progetto con scelte ingegneristiche brillanti».
Tipo?
«Nel tubo ci sarebbe stato un flusso costante d’acqua — perché non sarebbe servito solo per le piene del Seveso — che avrebbe azionato una turbina capace di generare energia elettrica. La vendita dei chilowatt avrebbe coperto i costi della gestione dell’infrastruttura».
E cosa ne pensa invece della scelta attuale di puntare su un sistema di vasche di laminazione?
«Guardi, la forza del nostro progetto era data anche dal fatto che si trattava di un intervento non invasivo, al contrario di quanto si prefigura adesso. Non creava quindi problemi di consenso. Non c’era bisogno di raccogliere i pareri favorevoli dei Comuni, che ora invece si oppongono all’idea di avere piscine a cielo aperto — non uno spettacolo bellissimo — dove “parcheggiare” l’acqua in eccesso. Costava di più la nostra soluzione, è vero. Ma i soldi c’erano».
Secondo lei, quel progetto può essere ancora attuale?
«Non ho le competenze per dirlo. Magari oggi ci sono altre diavolerie ingegneristiche e potrebbe risultare obsoleto. Ai tempi era un’idea all’avanguardia e a impatto ambientale zero».
In questi ultimi mesi si è parlato tanto di riapertura dei Navigli.
«Può essere suggestivo: le città d’acqua sono affascinanti. Ma è una questione di priorità. Fossi nel sindaco Sala penserei prima al Seveso. Anche se è un’operazione meno spettacolare e che dà meno pubblicità, è necessaria».