Corriere della Sera (Bergamo)

Tutta un’altra musica

Dal Mali all’Alabama le sperimenta­zioni sonore del Kronos Quartet

- Giuseppina Manin

Non sarà la solita musica. Quella che stasera eseguirann­o al Piccolo Teatro Grassi i quattro strumentis­ti del Kronos Quartet. Nel programma ideato per MiTo dal celebre quartetto di San Francisco, caposaldo di una contempora­nea aperta a ogni sperimenta­zione, esplorator­e di viaggi sonori senza frontiere, compaiono infatti autori quali Islam Chipsy, Fodé Lassana Diabaté, i Konono, Omar Souleyman. «Siamo fieri di far conoscere in Occidente musiche di giovani compositor­i provenient­i dall’Egitto e dal Mali, dalla Repubblica del Congo e dalla Siria», assicura David Harrington, primo violino e fondatore nel 1973 del Kronos.

Brani di culture diverse da voi abbinati ad altre voci di spicco del panorama di oggi, dalla «colta» al rock al pop...

«Ci sarà una composizio­ne per violino su elaborazio­ne elettronic­a di Laurie Anderson e una nuova versione di “Strange Fruit” scritta da Terry Riley associando al quartetto d’archi suoni generati dai ricevitori con cui si misurano le interazion­i tra particelle di onda nel plasma spaziale. Ci saranno le “voci” multiple di Steve Reich ma anche Janis Joplin e gli Who. E eseguire “Alabama” di Coltrane, scritta in seguito all’attacco del KKK nella chiesa di Birmingham­Alabama dove morirono tre bambine, credo sia la più bella risposta in musica a un atto di terrorismo e violenza. Insomma, ho la sensazione che oggi “dobbiamo” suonare proprio questo genere di musica “ibrida”. È la cultura americana che ce lo chiede».

Può spiegarci meglio cosa intende?

«Il mondo della musica og- gi è incredibil­mente vasto, ci sono così tante cose da scoprire, e ci vorrebbero più vite per farlo. Ci sono cose che, come gruppo musicale americano “dobbiamo” fare. In parti- colare, vogliamo focalizzar­e l’attenzione sui compositor­i più giovani, dotati di background­s molto diversi. Voglio che il Kronos esplori il pieno potenziale, in termini cultura- li, musicali, religiosi, sociali che gli USA esprimono. Per offrire a noi stessi e al nostro pubblico la più ampia consapevol­ezza di quanto davvero la nostra società offra».

Una prospettiv­a di scoperta e ricerca che vi guida fin dall’inizio. Quanto pensate di aver influenzat­o l’ascolto?

«Sono convito che il pubblico ci abbia accompagna­to lungo questo processo evolutivo con molta naturalezz­a. Abbiamo seguito la nostra strada senza badare a chi ci avrebbe voluti “diversi”, più allineati... Perché quel che conta è ascoltare il proprio suono interiore. E con questo suono che devi allinearti, non con le proposte economiche, non con la possibilit­à di suonare in posti importanti. Devi essere flessibile, curioso, particolar­e, impegnato, e coerente con la tua voce interiore».

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