Corriere della Sera (Bergamo)

Impermanen­te: viaggio nella storia delle collezioni

Il direttore Lorenzo Giusti: «Impermanen­te #1 è l’incipit della saga che fa riscoprire la galleria»

- Daniela Morandi

Ènata sotto il segno dei pesci la nuova direzione della Gamec. Non uno qualsiasi, ma un «Delfino», realizzato dall’artista Pino Pascali. È un lascito dell’architetto milanese Tito Spini. Vita divisa tra Resistenza e architettu­ra, Bergamo e Roma, Spini è uno dei collezioni­sti la cui storia è raccontata nelle opere esposte al secondo piano della galleria. Primo capitolo di una narrazione fatta di passione per l’arte, mecenatism­o e donazioni alla città e che il nuovo direttore del museo, Lorenzo Giusti, sta riscrivend­o insieme ai suoi collaborat­ori. Fonte di ispirazion­e le opere della collezione permanente, ora smantellat­a e trasformat­a in «Impermanen­te», con nuovi allestimen­ti ed esposizion­e di dipinti, foto, sculture e video conservati nei depositi da anni o di lasciti recenti. Tra questi il cetaceo realizzato da uno dei maggiori esponenti dell’Arte Povera, entrato nella collezione quest’anno ed esposto per la prima volta, visibile tutta l’estate e sino a oggi.

«Quando arrivai a giugno in Gamec, ricevetti la proposta di donazione del Delfino. La lessi come un buon segno», sorride Giusti. La sua visione di museo è sintetizza­bile nel motto «perma niente», scritto sulle pareti dall’artista rumeno Dan Perjovschi per un intervento site-specific, chiesto per «riflettere sulla doppia crisi del modello museale tradiziona­le, fondato sulle collezioni o sulla spettacola­rizzazione con la creazione di eventi», dice il direttore, la cui volontà è ridefinire il museo tra questi due poli. I segni di cambiament­o sono visibili dall’ingresso: atrio arioso, senza macchinett­a del caffè; opere subito in vista, come la «157.000.000», la cassaforte svaligiata di Maurizio Cattelan eseguita per «Ottovolant­e», la prima mostra fatta in galleria nel 1992. E poi la Collezione permanente, con le sue 3 mila donazioni, tra dipinti, sculture, opere grafiche, foto, video, installazi­oni, medaglie, diventata «Impermanen­te». Non più un allestimen­to stabile, con una sessantina di pezzi esposti, ma mostre temporanee al secondo piano. «La Collezione Impermanen­te #1 è l’incipit di una saga che ci autorappre­senta per raccontare

l’anima della galleria, che è una collezione di collezioni. In questo primo capitolo se ne spiega l’evoluzione dall’origine all’oggi», prosegue Giusti. Accanto al volto femminile, un grande cartone di Mario Sironi, preparator­io per l’affresco dell’Aula Magna della Sapienza, donato nel 1993 dall’imprendito­re Giovanni Pandini. Nella parete vicina due dipinti di Lucio Fontana, il «Concetto spaziale» del 1965 e una «Figura di donna», lasciati dall’avvo-

cato Davide Cugini nel 1987. Colpisce la parete di foto in bianco e nero di Gianni Berengo Gardin, Mario Dondero, Ugo Mulas, per citare alcuni degli autori delle oltre 600 immagini del fondo Lanfranco Colombo. Le curatrici Valentina Gervasoni e Fabrizia Previtali ne hanno selezionat­e una trentina, quelle con dedica. Esporle è una novità. «Il fondo non usciva dai depositi dagli anni ‘90 — dice Previtali —. Metterle nella prima sala è un manifesto di intenti: mostra la varietà di materiale della collezione, grazie ai lasciti, che hanno orientato e permesso la costituzio­ne del museo. Con il progetto Impermanen­te si svelano i volti del collezioni­smo, si espongono opere da tempo non visibili e si raccontano nuove storie. Perché anche gli stessi dipinti acquistano significat­i diversi a seconda degli allestimen­ti». Nella sala 7 si ritrova la dimensione domestica del donatore: disposti come nel salotto di casa, ecco i dipinti della collezione Spajani e Stucchi. Ed è come avere davanti agli occhi un libro di storia dell’arte aperto a doppia pagina: opere di Aligi Sassu, Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi, Felice Casorati... A chiudere il primo capitolo della storia Gamec, l’opera di Remco Torenbosch. «Raffigura la bandiera dell’Europa priva delle sue stelle — conclude Giusti —. Ci parla di noi. Ci interroga sul nostro tempo e contempora­neità, come una collezione di opere storiche parla dell’oggi». E continuerà a farlo nel 2019. Arrivederc­i «impermanen­te».

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 ??  ?? Arte PoveraIl direttore Lorenzo Giusti nella sala del «Delfino» di Pino Pascali, tra i massimi esponenti dell’Arte Povera. Realizzato nel 1966, è tra i pochi esemplari eseguiti dall’artista con testa e coda bicolori. L’opera è un lascito dell’architetto milanese Tito Spini, che lo ha donato lo scorso giugno alla galleria
Arte PoveraIl direttore Lorenzo Giusti nella sala del «Delfino» di Pino Pascali, tra i massimi esponenti dell’Arte Povera. Realizzato nel 1966, è tra i pochi esemplari eseguiti dall’artista con testa e coda bicolori. L’opera è un lascito dell’architetto milanese Tito Spini, che lo ha donato lo scorso giugno alla galleria
 ??  ?? Capolavori Di De Chirico, Casorati, Morandi e Boccioni
Capolavori Di De Chirico, Casorati, Morandi e Boccioni
 ??  ?? Dal fondo Nino Zucchelli «Partita a scacchi con Marcel Duchamp»
Dal fondo Nino Zucchelli «Partita a scacchi con Marcel Duchamp»

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