La replica della «vicina di casa» degli agricoltori
Il b&b aperto in cascina «Va tutelata la salute»
Non vuole «sfrattare» proprio nessuno, ma semplicemente tutelare la salubrità e l’igiene della propria abitazione nonché, conseguentemente, la salute sua e di tutti coloro che ci abitano o soggiornano. Nella querelle che la oppone alla famiglia di agricoltori Mavero e che agita la cascina Malossa di Casirate, la professoressa Antonella Legramandi difende le sue ragioni. La vicenda è quella che vede la storica famiglia di contadini che abita la Malossa da generazioni essere a un passo da dover eliminare tutti gli animali della fattoria in base a un’ordinanza del sindaco Mauro Faccà, emanata in seguito ai rilievi dell’Ats. Contro il provvedimento, i Mavero hanno presentato ricorso al Presidente della Repubblica.
La Legramandi, originaria di Misano, nel 1999 realizza il suo sogno: andare a vivere in campagna. Per questo acquista una porzione, ormai fatiscente, della vecchia cascina e con i suoi risparmi la ristruttura. Una parte diventa la sua abitazione mentre nell’altra apre un piccolo bed & breakfast. Fin da subito però la convivenza con gli animali dei vicini diventa difficile. «Già al momento dell’acquisto nel 1999 — spiega l’avvocato Raffaele Micalizzi, legale della Legramandi — la destinazione a uso residenziale era consentita dagli strumenti edilizi. L’incompatibilità dell’allevamento con le case è stata accertata a più riprese sia dalla autorità sanitaria, sia dal Comune di Casirate. E ciò in quanto l’allevamento, affiancato anche da un macello, causa da anni gravi problematiche igienico-sanitarie: odori nauseabondi, proliferazione di insetti e altri animali infestanti».
La Legramandi, insieme ad altri residenti della cascina, presenta degli esposti all’amministrazione comunale fin dal 2004 segnalando come sia due volte danneggiata dalla situazione: da un lato per il peggioramento del suo benessere abitativo e dall’altro lato, per l’impossibilità di valorizzare appieno la propria attività economica. Esposti che però, nonostante l’allora Asl esca per un sopralluogo e faccia dei rilievi, finiscono nel niente, così la docente inizia una lunga guerra a colpi di carte bollate per far valere le sue ragioni. «La vicenda — conclude il legale — avrebbe potuto e dovuto essere risolta già da allora: ciò avrebbe evitato alla Legramandi ben dodici anni di peregrinazioni da un ente all’altro (e nel contempo, forse, avrebbe consentito all’allevatore di operare scelte più ponderate). Invece, sino al 2017, le ripetute e motivate lamentele sono rimaste inascoltate, e nulla è stato fatto».