Corriere della Sera (Bergamo)

I GENITORI E LE REGOLE FUORI DAL CAMPO

- Di Cristiano Gatti

Èla sfida totale, fino ai limiti estremi, dove comincia il territorio sconfinato dell’impossibil­e: educare i genitori in tribuna. Si parla della ben nota fauna allo stato brado che di sabato pomeriggio e di domenica mattina, sui campetti del centro e della provincia, manifesta le sue prerogativ­e inconfondi­bili, in un crescendo di aggressivi­tà e di demenza, dando del farabutto all’arbitro, dell’imbecille all’allenatore, degli impediti ai giocatori, tutti tranne uno, quel fior di fenomeno che risulta essere l’attuale figlio piccolo e il futuro Cristiano Ronaldo. La casistica è già molto ricca, partendo dai casi di risse e sganassoni interfamil­iari in tribuna, con i bambini fermi in lacrime al centro del campo, fino al rimedio estremo di condannare la squadretta dei pulcini a giocare partite a porte chiuse. Un recente studio dell’università Statale spiega che il 70 per cento dei bambini abbandona l’attività agonistica entro i 14 anni, proprio quando servirebbe per uno sviluppo armonico di mente e fisico: la prima causa, l’eccessiva pressione psicologic­a. Diciamolo: non è facile giocare al campo con quella fauna di trogloditi, che saremmo noi genitori, aggrappati alla rete. È un’emergenza nazionale. Non si fa che parlarne, non si sa più cosa inventare per moderare i toni, al momento sembrano percorribi­li soltanto i Daspo e i barbituric­i. Eppure c’è ancora chi non dispera.

A Bergamo, il Panathlon e Ubi banca (che ci mette dei soldi), con il solito patrocinio ideale a costo zero del Comune, sono arrivati al paradosso più acrobatico: rieducare i genitori dei giocatori con una «Carta dei doveri», che devono sottoscriv­ere quando portano al campo la creatura. Sabato, in sala Galmozzi, la cerimonia solenne che vedrà 23 tra società sportive e federazion­i, dall’Atalanta all’Excelsior, dalla Federcicli­smo all’Antoniana, impegnarsi nel nuovo calvario, cioè tentare con tanta pazienza di recuperare gli irrecupera­bili, cioè noi, nonni padri madri. Clamorosam­ente banale il decalogo che bisognerà accettare: «La scelta della disciplina sportiva spetta ai miei figli…», «Eviterò ai miei figli pesanti attività agonistich­e, privilegia­ndo lo sport ludico e ricreativo», «Li seguirò con discrezion­e…», «Dirò ai miei figli che per essere bravi sportivi non è necessario diventare campioni», «Ricorderò loro che anche le sconfitte aiutano a crescere e servono a diventare più saggi», «Al loro ritorno a casa non chiederò se abbiano vinto, ma se si sentano migliori…», eccetera, eccetera. Tutto quello che non sarebbe nemmeno il caso di dire e di ricordare, ce lo ritroverem­o scritto nero su bianco, come dal notaio. Sperando che questa fauna allupata sia in grado comunque di comprender­la. Per aiutarci, i promotori dell’utopia ci affiancher­anno persino degli psicologi, data la gravità dei casi umani. Previste anche esperienze dirette molto singolari: in qualche partita, saremo chiamati allo scambio dei ruoli, noi in panchina e ad arbitrare, allenatori e arbitri in tribuna, anche solo per vedere l’effetto che fa. Diciamolo: è un progetto folle e temerario, ma è un progetto molto romantico. Servisse anche solo a cambiare qualche esemplare della famosa fauna, sarebbe un successone strepitoso. Perché la situazione è sotto gli occhi di tutti: al momento, è più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago e che un ricco entri nel regno dei cieli, tutti e due assieme, piuttosto che un genitore accetti il figlio in panchina. Questi sono i tempi, questa è la società. Sottoporre un codice etico a padri e madri è certo avvilente, penoso e molto triste. Ma resta un tentativo valoroso: come dicono i promotori dell’impresa disperata, almeno se ne parla. È già un primo passo. Buona fortuna a tutti. E che nessuno si scordi di sottoporre agli stessi genitori un secondo decalogo, in cui si spiega che quando si sottoscriv­e un impegno solitament­e bisogna rispettarl­o.

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