Corriere della Sera (Bergamo)

«Moschee? Servono islamici credibili»

L’assessore Angeloni: sul cimitero ci adegueremo alle richieste del Tar

- Di Simone Bianco e Silvia Seminati

Il Tar ha concesso 90 giorni al Comune di Bergamo per rivedere la convenzion­e sul cimitero islamico. C’erano voluti due anni per scrivere il testo e arrivare alla firma con il Centro di via Cenisio. Ma il ricorso di altri gruppi islamici costringe il Comune a rimettere mano all’articolo del testo che attribuisc­e proprio al Centro islamico la facoltà di attestare «la fede islamica» dei defunti.

«Il Tar ci ha prescritto cosa fare e ci adegueremo», dice Giacomo Angeloni. E non è l’unica cosa che dice: l’assessore che più si è occupato di musulmani, «non meno di 5 mila persone a Bergamo», ripete con chiarezza che in città serve una moschea. Anzi, più di una.

Cosa succede adesso alla nuova convenzion­e?

«Il Tar la addormenta da un punto di vista giuridico, questa convenzion­e non ha valore fino a quando non la saniamo con quello che ci è stato chiesto. E il Tar ci dà anche le strade per sanarla. Abbiamo davanti diverse ipotesi. Si potrebbe chiedere l’attestazio­ne della profession­e di fede islamica non più solo al Centro di via Cenisio, ma a tutte le quattro realtà che hanno firmato il Patto per l’Islam con il sindaco. Oppure, e questa strada mi pare più semplice, si potrà chiedere un’autocertif­icazione sulla fede islamica ai parenti del defunto, con lo stesso procedimen­to che usiamo per le cremazioni».

Servirà però la firma del Centro islamico.

«La convenzion­e è sottoscrit­ta dal Centro islamico, che può decidere di accettare o meno questa modifica. Il Comune proverà a negoziare con tutti, come ci chiede il Tar, e come abbiamo sempre fatto, anche perché vogliamo stare fuori dalle loro beghe. Ma entro il 18 dicembre dovremo arrivare al Tar con una delibera di giunta che spiegherà qual è la proposta del Comune e quali sono i pareri che ci sono arrivati da chi dovrebbe firmare. Poi deciderà il Tar».

Il cimitero è comunale, potreste gestirlo senza convenzion­i.

«Ma la convenzion­e del 2008 garantisce un diritto di superficie».

Potrebbero venire a chiedervi dei soldi indietro.

«Può darsi, ma è una valutazion­e da avvocati. L’obiettivo dell’allora giunta Bruni era dare un servizio agli islamici. Il problema vero è che ci sono dietro liti che vanno al di là del cimitero».

Questa vicenda ha riportato alla luce lo scontro tra i gruppi di musulmani in città.

«Io penso che passeranno generazion­i prima che le comunità islamiche bergamasch­e, composte come sono oggi, potranno tornare a parlarsi. Al netto del tema politico, a Bergamo si è perso molto tempo in questi anni. Nei due anni della nostra amministra­zione prima della legge antimosche­e, si è perso tempo perché loro non andavano d’accordo. Mi spiace, abbiamo buttato via molte energie. Ma se a Bergamo ancora non c’è una moschea, la responsabi­lità è degli islamici. Uno aveva 5 milioni, l’altro aveva la relazione con il Comune, ma non hanno messo insieme le due cose. Dove è stato possibile dare casa a chi aveva bisogno di spazi religiosi, noi l’abbiamo fatto nei due anni in cui non c’era la legge anti-moschee. Penso per esempio a chi è ospite nei vecchi Riuniti, la chiesa rumena. Se non si risolve il problema dei luoghi di culto avremo tante vie Quarenghi, dove tuttora si prega in una moschea abusiva. I numeri di queste persone sono alti, gli islamici non sono meno di 5 mila. Anche in ottica di controllo e sicurezza, è preferibil­e avere dei luoghi definiti dove queste persone pregano, altrimenti verranno usati luoghi abusivi che non potranno essere controllat­i».

Voi avete firmato il Patto con l’Islam. Sta avendo qualche utilità pratica?

«È un segnale che abbiamo dato alle comunità, anche perché le loro divisioni interne pregiudica­vano la relazione con il Comune. Il Patto definisce che il Comune è equidistan­te dalle varie comunità e definisce anche impegni chiari. Le comunità islamiche hanno iniziato a partecipar­e alle riunioni delle reti sociali nei quartieri. Il Comune ha ricevuto l’elenco degli imam e anche i bilanci delle associazio­ni. Dai numeri emerge che non arrivano soldi dall’estero e vivono di elemosine interne e donazioni. I sermoni vengono fatti in italiano o tradotti, ci sono verifiche».

Dentro la maggioranz­a questo è un tema marginale? «Non mi pare».

Quindi arrivate a fine mandato con le idee chiare su cosa mettere nel programma elettorale?

«Nel prossimo Pgt credo che dovranno essere indicati dei luoghi di culto però poi non siamo obbligati a fare la convenzion­e urbanistic­a con un soggetto o con un altro per fare la moschea.Bisogna vedere se gli islamici sono interlocut­ori credibili».

È però un’operazione politica molto delicata.

«Lo sappiamo. Ma dal punto di vista antropolog­ico e sociologic­o, a Bergamo servono le moschee, servono spazi per il culto. Bisogna però trovarli i luoghi, prima di metterli nel Pgt. Il problema poi è l’interlocuz­ione con le comunità. In questo momento non le vedo molto solide, sono più impegnate a fare le loro beghe e i ricorsini. Quest’anno, durante il Ramadan, non abbiamo avuto lamentele. Anzi, la rete sociale di Monterosso ci ha detto che sarebbero felici di ospitarli ancora. Da qui a fine mandato vorrei arrivare a un accordo sul cimitero islamico. Voglio poi mantenere il Patto con l’Islam, perché le comunità vivano la città, e mantenere anche il dialogo con i vari gruppi».

❞ C’è stato lo spazio per trovare luoghi di culto, prima della legge regionale, se non è successo è responsabi­lità delle comunità islamiche, troppo impegnate nelle liti al loro interno Giacomo Angeloni Assessore

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Ramadan La preghiera dei fedeli del Centro islamico di via Cenisio al Centro Galassia di via Zanica, a metà giugno
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