Corriere della Sera (Bergamo)

La catena di diamanti e l’officina spolpata Gli obiettivi del «clan»

Le denunce delle presunte vittime: l’aggression­e a Treviolo A Osio Sopra si sarebbero impossessa­ti di una carrozzeri­a

- di Maddalena Berbenni

Nell’autunno 2016 la banda di Rocco Di Lorenzo è in piena attività. La Finanza l’ha già «sotto». Cimici, telefoni intercetta­ti, le prime denunce. L’episodio che forse colpisce di più, anche perché ripreso da una telecamera, è del 3 novembre. E quello stesso giorno Ferdinando Bonavoglia, 62 anni, di Bonate Sopra, vari guai con la giustizia, si presenta in caserma con il collo segnato. Denuncia, piangendo, l’aggression­e subita fuori dalla sua ditta a Treviolo.

Ieri mattina, quando è stato accompagna­to in carcere, Di Lorenzo era in tenuta estiva. Bermuda e t-shirt. Allora indossava i pantaloni di una tuta, un piumino smanicato e gli occhiali scuri. Stando alla denuncia di Bonavoglia, erano arrivati in cinque su una Citroen bianca. Il «capo» e poi Luordo, Ndou, Prenga, detto «Gas», e un altro che faceva da autista. Tutti con le pistole infilate nei pantaloni e le impugnatur­e bene in vista. Volevano i soldi, 250 mila euro, anche se Bonavoglia nega di avere debiti. Gli inquirenti sfumano sui rapporti con Di Lorenzo, di sicuro i due si conoscevan­o da tempo. Il pressing per ottenere il denaro andava avanti da un paio di mesi e per liberarsen­e Bonavoglia aveva già pagato 25 mila euro: racconta di tranche da 6 mila, 7 mila e 12 mila euro consegnate in un bar a Colognola. Ma non sarebbero bastate. L’aggression­e del 3 novembre è nei filmati. Di Lorenzo strappa all’imprendito­re la catena d’oro e diamanti, tre carati in tutto. Una maglia s’infila lungo la schiena, sarà fornita alla Finanza come prova. Comunque, c’erano le ferite al collo. Parte anche uno schiaffone, che fa volare gli occhiali dell’imprendito­re a terra. E poi insulti, minacce. Bonavoglia deve consegnare subito 50 mila euro, altrimenti «sei un uomo morto», sarebbe salita «una squadra di napoletani» a sistemarlo. Di Lorenzo sarebbe stato pronto anche a prendere la pistola, ma l’albanese «Gaz» gli avrebbe detto di lasciare fare a lui. Bonavoglia riferisce di averlo visto impugnare una semiautoma­tica e che solo l’intervento di un suo dipendente, anche lui albanese, lo avrebbe fatto desistere. Nei giorni successivi, ancora richieste, fino all’ incontro organizzat­o dai finanzieri e l’arresto di Cerrone e Luordo.

Ferdinando non è l’unico Bonavoglia preso di mira. Il 20 e 24 ottobre 2016 il cugino Roberto, 39 anni, di Bergamo, nemmeno lui nuovo alle aule di tribunale, si era già rivolto alla Gdf. Di Lorenzo e gli altri gli avevano chiesto 370 mila euro, un debito che, a loro dire, avevano maturato con suo padre. Il gip lo legge come «un artifizio che gli indagati hanno inteso usare per tentare di oscurare il loro approccio estorsivo». Da Bonavoglia avrebbero preteso cash, ma anche l’uso della sua Porsche Panamera e 200 maiali del suo allevament­o a Romano. Si sarebbero intascati, inoltre, il credito da 16.500 euro che aveva con Alfredo Borgogna, 53 anni, di Bergamo, a sua volta risucchiat­o dalla presunta rete della banda. La sua denuncia è del 2 novembre. Da Borgogna avrebbero voluto 100 mila euro per la vendita mancata di due auto di Bonavoglia. Per convincerl­o, si sarebbero presi la sua Mercedes, scaricando lui in mezzo a una strada. «Mi dovete portare Alfredo — ordina al telefono Di Lorenzo a Luordo —, hai visto, ho liberato l’appartamen­to, lo devo mettere su una sedia con il ferro filato, ti faccio vedere come chiama e dice di portare i soldi».

Nel caso di Marco Bonfanti e del padre Ezio il «clan» si sarebbe impossessa­to direttamen­te della carrozzeri­a che gestivano a Osio Sopra per un supposto debito da 300 mila euro dell’amministra­tore David Cortinovis. È Marcello Sipione a stabilirsi in pianta stabile nell’autofficin­a, «prendendo visione dei conti, parlando con i clienti e con i fornitori ed escludendo chiunque dalla gestione societaria. Gli albanesi si alternavan­o in carrozzeri­a controllan­do gli operai e chiedendo chi fossero i clienti», è nelle carte. «Possono stare là — intima Sipione a Cortinovis — ma lui (Marco Bonfanti, ndr) non tocca più un centesimo». Svuotati i conti della società, ora fallita, Bonfanti avrebbe infine sottoscrit­to cambiali per 90 mila euro. Era terrorizza­to per la sua famiglia.

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